Il ritorno al voto di condotta:
un esercizio di autoritarismo o un richiamo ai doveri anche dei più giovani verso la comunità di appartenenza?


Su iniziativa del Ministro dell’Istruzione e del Merito il Parlamento ha da poco approvato il ritorno, nella scuola, al voto di ‘condotta’. Lo studente che consegue il solo 6 in condotta verrà rimandato a settembre. A un voto insufficiente conseguirà invece la perdita dell’anno scolastico.

Un «cambio culturale» finalizzato a ripristinare la «cultura del rispetto» e l’«autorevolezza degli insegnanti», per il Governo. Un «ritorno al passato», «un provvedimento che confonde l’autorevolezza con l’autoritarismo», a detta dell’opposizione.

Di nuovo la scuola diviene terreno di sterile polemica politica.

Già in passato ero rimasto sorpreso dalla polemica sollevata a proposito del merito. Era prevedibile questa nuova levata di scudi in difesa di un presunto diritto delle nuove generazioni ad affermare le proprie istanze di liberazione e ad affermare che il mondo giovanile (di minori e adolescenti) è composto da ‘persone’ titolari di diritti e non da soggetti ‘subordinati’ agli adulti, chiamati unicamente a comportarsi in modo da meritare la promozione alla fase successiva della vita.

Inoltre, il ripristino del voto in parola sarebbe, per chi vi si oppone, un mezzo per conferire a scuola e insegnanti il potere di definire autoritativamente un sistema di regole e di sanzioni finalizzato al mantenimento di un ordine imposto. Come se ciò fosse indice di una idea di scuola a carattere militaresco o, peggio, restrittivo della libertà.

Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate, s’impone di sintetizzare le novità appena introdotte.

La prima, già richiamata, è rappresentata dal ritorno al voto in condotta anche alle medie, dove invece da alcuni anni la valutazione del comportamento veniva espressa sotto forma di giudizio.

Ma non si tratta solo di questo. Mentre finora l’insufficienza conseguiva unicamente a comportamenti di particolare gravità che implicassero l’allontanamento dalla scuola per più di 15 giorni, «fatti tali da configurare una fattispecie di reato penale» (violenza privata, minaccia, percosse, ingiurie, reati di natura sessuale) o «da mettere in pericolo l’incolumità delle persone», con le nuove regole la perdita dell’anno scolastico potrà conseguire «anche a fronte di comportamenti che configurino mancanze disciplinari gravi e reiterate, anche con riferimento alle violazioni previste dal regolamento di istituto».

Attribuire maggior rilievo al voto di condotta implica anche che, alle superiori, chi consegue appena la sufficienza (il 6, per intendersi) non avrà la promozione garantita perché, a settembre, in sede di riparazione dei debiti formativi, gli studenti indisciplinati dovranno presentare un «elaborato critico in materia di cittadinanza e costituzione», pena nuovamente la perdita dell’anno scolastico. Nel caso degli studenti dell’ultimo anno la tesina verrà discussa durante l’esame orale. Infine, coloro che conseguono un voto di condotta inferiore al nove non potranno ambire al massimo dei crediti cui è legata la possibilità di raggiungere il massimo dei voti all’esame di Maturità.

Viene poi modificato anche il sistema delle ‘sospensioni’ dalla scuola. Lo studente che viola le regole comportamentali non viene allontanato ma deve restare a scuola ed essere coinvolto in attività che lo aiutino a capire «le conseguenze dei suoi comportamenti». Nel caso in cui vi fossero i presupposti per un provvedimento di allontanamento di più due giorni lo studente dovrà partecipare le «attività di cittadinanza solidale», cioè di volontariato, presso strutture esterne convenzionate con la scuola.

Accanto a queste novità, la richiamata normativa si propone di restituire piena serenità agli insegnanti chiamati ad operare sempre più spesso in un contesto lavorativo turbato da condotte gravi e non soltanto da parte degli studenti ma sempre più frequentemente anche da parte delle famiglie, poco inclini a collaborare e che non di rado insorgono in difesa dei figli anche di fronte ai comportamenti più disdicevoli.

Le finalità di questi interventi, di là dai differenti approcci alla questione, appaiono chiare, come chiaro è il tentativo di richiamare i giovani ai valori del rispetto e della responsabilità.

La scuola – è bene che tutti lo si rammenti – non è soltanto il luogo dell’apprendimento ma è anche e soprattutto il luogo in cui acquisire la capacità di convivere in maniera rispettosa all’interno di una comunità. Non soltanto, dunque, lo studio ma soprattutto il valore e il rispetto degli altri e anche, perché no, il riconoscimento dell’autorità che è, prima di altro, autorità morale.

Il voto di condotta con cui la gran parte delle precedenti generazioni si sono dovute misurare, non è mai stato avvertito come strumento a finalità punitiva, semmai, al contrario, a finalità premiale di comportamenti consoni a un ambiente sereno e produttivo, incentivando negli studenti empatia e autocontrollo. Tutto questo a favore della crescita delle persone e delle comunità.

Viviamo tempi in cui l’esasperata ricerca e affermazione di diritti (dimentichi per lo più dei relativi doveri) ha fatto perdere in tutti il senso del limite di cui si nutrono la libertà e l’eguaglianza all’interno del contesto della convivenza. Recuperare il senso del limite e della responsabilità per le proprie azioni deve essere salutato come un piccolo incentivo a riaffermare il giusto equilibrio tra diritti e doveri. Non è dunque un problema di disciplina (tantomeno militare o carceraria) ma una questione di formazione in senso ampio a cui non può certo dirsi estraneo il senso della responsabilità e della cittadinanza attiva.

Così, in disparte dalla strumentalizzazione delle differenze tra i concetti di ‘educazione’ e ‘istruzione’, non può negarsi alla scuola, accanto alla famiglia, il ruolo precipuo di agente di ‘formazione’, in una interazione tra scuola e famiglia che prevede anche un più consapevole coinvolgimento reciproco in un percorso che non è solo di vita scolastica ma di preparazione alla vita adulta. La vita di un cittadino conscio e rispettoso di come funziona la sua comunità di riferimento.

Lascia perplessi, a questa stregua, se non addirittura amareggiati, l’idea, da più parti avanzata, che ravvisa in questi interventi una finalità di compiacimento delle generazioni adulte che amerebbero rimpiangere la passata ‘età dell’oro’ dell’istruzione, perché non è certo la paura o la sfiducia nelle nuove generazioni ad ispirare l’auspicio che non si tengano separati ‘apprendimento’ e ‘profitto’ dai comportamenti che ne sono invece elementi costitutivi.

Né si dica che una siffatta prospettiva rispecchia una concezione anti scientifica dell’insegnamento, non essendo certo contraria al riconoscimento del valore delle scienze pedagogiche e della ricerca educativa.

Semmai, non può non convenirsi che si tratta di affidare alla scuola un compito complesso, di fronte al quale gli insegnanti sono spesso lasciati privi di strumenti sufficientemente incisivi per valutare i progressi che gli studenti conseguono nello sviluppo delle loro competenze e del loro ruolo sociale.

Con la reintroduzione del voto di condotta si è pensato di munire gli insegnanti di uno strumento più adeguato rispetto al recente passato, anche se il problema, come è agevole percepire, non riguarda solo i comportamenti delle giovani generazioni ma concerne deficit culturali che caratterizzano l’intera comunità, soprattutto quelle generazioni adulte sempre meno inclini a far propri i valori fondanti della convivenza e a offrirne la dovuta, costante testimonianza ai nostri figli.

Fabrizio Criscuolo

ordinario di diritto privato, Università La Sapienza di Roma

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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