In un’epoca in cui la privacy e la protezione dei dati sono considerati diritti fondamentali, risulta preoccupante il crescente numero di abusi negli accessi alle comunicazioni private e ai conti bancari dei cittadini. Tali abusi avvengono spesso sia in sede amministrativa che giudiziaria, sfruttando anche normative secondarie, come le circolari di Bankitalia sulle Segnalazioni di Operazioni Sospette (SOS). Questo articolo intende esplorare i problemi legati a tali pratiche e l’apparente mancanza di attenzione delle competenti Autorità alla violazione dell’art. 6 bis della legge 241/90, che riguarda il conflitto d’interessi dell’Istituto di vigilanza con le banche partecipanti al suo capitale.
A livello amministrativo, le autorità possono accedere alle comunicazioni private dei cittadini, incluse email e conti bancari, sotto il pretesto di garantire la sicurezza nazionale o di prevenire attività illecite. Tuttavia, queste pratiche sollevano dubbi sulla legittimità e sulla proporzionalità degli accessi, visto che la normativa che li riguarda è spesso vaga o interpretabile, permettendo il ricorso ad un’ampia discrezionalità che può portare agli abusi di questi giorni.
In ambito giudiziario, l’accesso alle comunicazioni e ai conti bancari è – almeno in teoria – soggetto a severi controlli e deve essere autorizzato da un giudice. Tuttavia, anche in questo caso, non sono mancati episodi di accessi arbitrari o non giustificabili, talvolta basati su prove labili o su interpretazioni estensive delle normative vigenti, talaltra addirittura fondati sulla mera curiosità di chi può accedervi.
Brillano in materia alcune circolari di Bankitalia, in particolare quelle relative alle Segnalazioni di Operazioni Sospette (SOS), che rappresentano un ulteriore strumento attraverso il quale possono verificarsi abusi. Queste circolari obbligano le banche a segnalare operazioni che potrebbero essere indicative di riciclaggio di denaro o di altre attività illecite. Tuttavia, la mancanza di criteri chiari e uniformi per l’identificazione di simili operazioni può portare a segnalazioni prive di ogni effettiva giustificazione, nonché ad illeciti accessi ai dati bancari dei cittadini.
Un aspetto particolarmente critico è il potenziale conflitto d’interessi della stessa Bankitalia, che è – come già detto – partecipata dalle stesse banche che dovrebbe regolare. Questa situazione crea un evidente cortocircuito, in quanto Bankitalia potrebbe essere influenzata nel suo operato dalle stesse entità che è chiamata a monitorare. Tale conflitto d’interessi viola – ripetiamo – l’art. 6 bis della legge 241/90, che impone la separazione delle funzioni fra proprietà di gestione per evitare influenze indebite.
È evidente che esiste una necessità urgente di maggiore vigilanza e trasparenza nelle pratiche di accesso alle comunicazioni private e ai conti bancari, perché le autorità competenti devono assicurare che tali accessi siano giustificati e proporzionati e che le normative siano applicate in modo uniforme e non arbitrario. Inoltre, è essenziale affrontare il conflitto d’interessi di Bankitalia per ripristinare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Gli abusi negli accessi alle comunicazioni private e ai conti bancari rappresentano infatti una seria minaccia ai diritti fondamentali dei cittadini. È quindi imperativo che le autorità adottino misure adeguate a prevenire tali abusi, garantendo al contempo il rispetto della normativa vigente in materia.
Mai come in una materia tanto delicata, infatti, può applicarsi la massima di Leonardo Sciascia a termini della quale esistono due tipi di eventi mediatici: il primo, secondo cui il fatto crea la notizia e il secondo, ove è invece la notizia a creare il fatto.
Sul piano dei rimedi – in attesa di un riordino generale della materia, che renda non verificabili in Italia episodi come quelli descritti nel film “Le vite degli altri” (che riguardava però un Paese dell’Est ai tempi, famigerati, del comunismo sovietico) – potrebbero immediatamente essere attivate le misure previste dall’articolo 2043 del Codice Civile che impone come risarcibile ogni danno scaturente da fatto ingiusto altrui: qui pero l’“altrui” non è solamente chi compie materialmente l’intrusione, ma anche il dante causa di quest’ultimo; sia esso una figura soggettiva pubblica, ovvero privata.
In entrambi i casi, comunque, sarà colui che ha messo a disposizione dell’intruso i mezzi necessari per compiere le attività illecite a concorrere al risarcimento del danno subito da ogni cittadino, a titolo di corresponsabilità.
Per i soggetti pubblici sarà poi la Corte dei conti ad intervenire per chiedere, agli autori delle captazioni illecite, il risarcimento del danno erariale scaturito da tali ultime attività; ma poiché non viviamo certo nel migliore dei mondi possibili, c’è da attendersi qualche iniziativa a livello parlamentare che vada a sterilizzare – nella sostanza, se non proprio nella forma – l’ammissibilità dei processi contabili finalizzati a caricare sulle risorse della collettività anche una tale specie di danni.