Le guerre in numeri


Il nostro è un pianeta in guerra, con un livello medio della pace sceso, per la dodicesima volta consecutiva nel corso degli ultimi 16 anni, dello 0,56%, rilevandosi sempre maggiore il rischio di conflitti dalle più vaste dimensioni. Queste le conclusioni cui è pervenuto lo IEP (Institute for Economics and Peace) nella 17ª edizione del Global Peace Index pubblicata quest’anno.

Tra i 163 Paesi analizzati dallo IEP, se 65 mostrano una situazione in miglioramento, 97 sono quelli che registrano un peggioramento della loro condizione di pace, con l’Islanda, stabilmente considerata dal 2008 il Paese più pacifico del mondo, seguita da Austria, Nuova Zelanda e Singapore, mentre lo Yemen, sceso di 24 posizioni, si trova all’ultimo gradino ed è valutato, insieme a Sudan, Afghanistan e Ucraina, tra i territori con il più basso indice di pace.

Negli ultimi 16 anni risulta ampliarsi anche il divario tra i Paesi più o meno pacifici. All’Europa, considerata la regione più pacifica ospitando otto dei dieci Paesi più pacifici del mondo, si contrappongono Medio Oriente e Nord Africa, ritenute le zone meno pacifiche del nostro pianeta. L’Italia risulta occupare il 33° posto, davanti a Inghilterra, Svezia e Grecia.

Come riportato nel Global Peace Index, i conflitti appaiono sempre più internazionalizzati e ben 92 sono i Paesi impegnati in combattimenti oltre i propri confini, circostanza questa finora mai registrata dall’avvio delle rilevazioni, ovvero dal 2008.

Di fatto siamo ormai abituati ad ascoltare, giorno dopo giorno, le preoccupanti notizie focalizzate sull’Ucraina e il Medio Oriente, venendosi a trascurare la complessa situazione socio-politica-militare che interessa l’intero pianeta. Basti considerare che i conflitti attualmente attivi nelle diverse aree geografiche sono ben 56 e la percezione, con le eccezioni di cui sopra, è di un qualcosa a noi estraneo e lontano, che non può più di tanto incidere sulla nostra sfera di interessi e di rapporti sociali, economici, finanche politici.

Impressionante risulta il numero delle vittime che il Wall Street Journal stima oggi, a due anni e mezzo dallo scoppio del solo conflitto russo – ucraino, in circa un milione, di cui 80.000 morti e 400 mila feriti ucraini e 200 mila morti e 400 mila feriti russi. A questi numeri vengono ad aggiungersi le 2.141 persone uccise e le 10.099 rimaste ferite in Libano, come riportato sul comunicato del Ministero della Salute Pubblica Libanese, nonché le 41.870 vittime e le 97.166 rimaste ferite nella Striscia di Gaza tra militari israeliani e palestinesi dall’inizio della guerra, ovvero da quando i militari di Hamas hanno attaccato Israele il 7 ottobre 2023, come reso noto dal Ministero della Sanità di Gaza.

Non meno significativi sono i costi della guerra che, come indicato nell’ultimo studio pubblicato nell’aprile 2023 dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), hanno registrato un record, assistendo ad una vera e propria corsa agli armamenti con Stati Uniti e Cina tra i Paesi che investono di più e la Russia a seguire. In Europa c’è un costante aumento della spesa militare, con un incremento del 13% rispetto al 2021. In particolare, secondo l’Istituto svedese, la spesa militare mondiale è cresciuta nel 2022 fino ad arrivare al massimo storico di 2.240 miliardi di dollari, con l’Europa che ha segnato un più 13%, dovuto in gran parte alle spese relative al conflitto russo-ucraino.

Tra i Paesi che hanno registrato gli aumenti più significativi, rileva il SIPRI, ci sono Finlandia (+36%), Lituania (+27%), Svezia (+12%) e Polonia (+11%). La spesa militare russa è, invece, cresciuta nel 2022 di circa il 9%, fino a raggiungere un valore complessivo di oltre 86 miliardi di dollari, mentre l’Ucraina, sempre nel 2022, ha sopportato un costo di 44 miliardi di dollari, ovvero la spesa con il più alto incremento finora mai registrato da un Paese. L’onere militare dell’Ucraina rispetto al PIL è, infatti, passato dal 3,2% del 2021 al 34% del 2022.

Gli Stati Uniti si confermano essere il Paese che di gran lunga investe maggiormente negli armamenti, con una spesa nel 2022 che ha toccato gli 877 miliardi di dollari, pari al 39% della spesa militare globale e tre volte superiore a quella della Cina (292 miliardi di dollari). Per quanto riguarda l’Italia, nel 2021 la spesa militare è stata di 24,2 miliardi di euro, pari all’1,37% del PIL, con andamento tendenziale in continua crescita, atteso che, dalle stime dell’Osservatorio sulle Spese Militari Italiane (MIL€X), si prevede già un ulteriore incremento di oltre 800 milioni di euro.

Come riportato da Adnkronos, il costo del conflitto a carico di Israele nel periodo tra il 2023 e il 2025, è stimato essere ricompreso tra i 67 miliardi di dollari (13% del PIL del Paese), calcolati dalla Banca Centrale Israeliana e i 120 miliardi di dollari (ovvero il 20% del PIL nazionale), valutati dall’economista israeliano Yacob Sheinin.

L’economia israeliana risulta, quindi, profondamente incisa dalle conseguenze del conflitto. L’agenzia Coface (Compagnie Française d’Assurance pour le Commerce Extérieur) ha stimato che già 46 mila aziende israeliane hanno chiuso e questo numero potrebbe raggiungere i 60.000 entro fine 2024. Turismo e costruzioni i settori maggiormente colpiti. In particolare, il solo turismo è calato di oltre il 75%. Per non parlare poi della scarsa manodopera, considerato che, secondo il Washington Post, già 287.000 israeliani sono stati richiamati alle armi dopo il 7 ottobre 2023 e il perdurare del conflitto, sottolinea Moody’s, potrebbe comportare la necessità dell’estensione del servizio militare a 36 mesi dagli attuali 32, pesando sensibilmente sulla disponibilità di forza lavoro. E, sempre secondo Moody’s, con l’aumento delle spese militari, in Israele il rapporto deficit/PIL nel 2024 dovrebbe salire al 7,5%.

Da questi numeri emerge un quadro devastante di un pianeta sempre più minato da conflitti e da una corsa agli armamenti, che non risparmia quasi più alcun Paese.

Ma ciò che maggiormente preoccupa è come questo quadro sia destinato a peggiorare perché, nonostante gli sforzi diplomatici e gli inviti alla pace, ancora non si vede una fine né del conflitto russo-ucraino, diventato una vera e propria guerra di posizioni, né di quello in Medio Oriente, che, peraltro, si sta allargando, coinvolgendo sempre più Paesi (Iran e Libano) della zona.

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