Oggi, in Italia vivono circa 14,2 milioni di persone con oltre sessantacinque anni. La demografia ci dice che attualmente un over65 ha una aspettativa di vita fino a circa ottantasei anni (le donne un po’ di più, gli uomini, un po’ meno); evidenzia anche che a quella stessa età, l’aspettativa di rimanere in “buona salute” arriva solo intorno ai settantasei anni (in questo caso, senza grandi differenze di genere). È chiaro che bisogna ridurre questo gap. La ricerca scientifica nel campo dell’aging ha ampiamente dimostrato che il modello abitativo adottato da un senior ha un impatto primario diretto e indiretto sulla sua capacità di rimanere in buona salute per gran parte della vita residua. La World Health Organization ha fissato a riguardo l’obiettivo dell’“ageing in place”: fare in modo che le persone nella loro “terza” e “quarta” età possano vivere il più a lungo possibile in una abitazione indipendente che sentano “casa propria”, in una Comunità di cui siano membri attivi e dove possano coltivare i propri interessi. Un contesto abitativo dove possano anche fruire facilmente dei diversi servizi di cui necessitano con il progredire dell’età.
Il grosso problema sta nel fatto che con il passare del tempo, la casa dove si è vissuto, con i figli, magari per venti o trent’anni, e alla quale ci si sente legati, diventa inadeguata per un invecchiamento in buona salute. Rimasti soli o al massimo in due, essa risulta in genere inutilmente grande; ha bisogno di manutenzioni, è energeticamente inefficiente. Inoltre, è piena di micro-barriere architettoniche che con l’avanzare dell’età diventano fastidi non da poco o anche causa di scarsa sicurezza. Le case di riposo, le residenze sanitarie assistenziali e le varie tipologie di “case protette” possono rappresentare una soluzione solo per le persone non autosufficienti e bisognose di una assistenza medica personale intensa.
Una alternativa molto più efficace, centrata sul garantire l’autonomia della persona, è rappresentata dal senior housing innovativo, che ha crescente diffusione a livello internazionale, soprattutto nei Paesi anglosassoni e dell’Europa settentrionali. Pur essendovi diverse varianti, il modello è sempre caratterizzato dall’integrare l’abitazione indipendente con l’erogazione al residente di un certo insieme di servizi che possono variare con il mutare delle sue condizioni di salute ed esigenze. L’abitazione è in una struttura residenziale, in alcuni casi collocata in un’area verde e comunque attrezzata per la realizzazione di una serie di attività a beneficio dei senior. Oltre ai servizi relativi alla prevenzione, ai controlli sanitari basilari e alla assistenza personale, sono in genere offerte opportunità di attività culturali ludico-sportive e di socializzazione; sono previste misure per la sicurezza personale nell’appartamento e nell’area residenziale. Grazie a tutte queste attività, la persona può vivere nella propria casa indipendente, ma non isolata; aspetto decisivo in particolare per gli oltre otto milioni di over65 che oggi risultano vivere soli.
Lo sviluppo anche in Italia del silver housing innovativo è dunque una notevole opportunità. A tal fine, occorre però un profondo e diffuso cambiamento “culturale” che porti in primo luogo i silver, ma anche coloro che oggi si trovano entro circa dieci anni dall’età in cui convenzionalmente si entra a far parte di tale universo, a considerare la propria scelta abitativa per la terza e quarta età in una prospettiva diversa rispetto al passato. Fino all’attuale generazione di persone anziane, l’unica consistente alternativa alla propria abitazione tradizionale sono state le case di riposo o le RSA, considerate come strutture cui indirizzarsi quando la persona diventa fortemente non auto-sufficiente e per i familiari è impossibile garantirgli/le l’assistenza necessaria. In condizioni normali, il diffuso e rilevante supporto fornito dai familiari per un verso, la mancanza di fatto di alternative per l’altro hanno fatto si che nella larghissima parte dei casi, la casa tradizionale sia rimasta la dimora fino praticamente alla conclusione dell’esistenza.
Appare quindi abbastanza naturale la necessità di sostenere sul piano anche culturale l’idea che, entrati nell’età “silver” (e ancor di più quando si arriva verso la fine della fascia di “giovane silver”) sia oltre che utile, anche vantaggioso e auspicabile lasciare la propria abitazione tradizionale in favore di un appartamento in strutture di silver housing. Il cambiamento culturale deve avvenire su traiettorie generali, rilevanti per far correttamente percepire i fattori di valore del silver housing innovativo, evidenziando anche quelli di rilievo collettivo che si affiancano a quelli di carattere individuale. In questo modo, lo spostamento in una struttura di silver housing viene considerata come un passaggio positivo tanto dalla persona che la compie, quanto da coloro che gli/le sono vicini, quanto più in generale da tutta la Società.