Dal Governo parole vuote,
non c’è visione né strategia


I primi 100 giorni della Presidenza Trump sono stati un disastro, forse i peggiori mai registrati nella storia degli Stati Uniti. Se ne stanno rendendo conto gli elettori americani, speriamo che prima o poi ci arrivi anche il nostro Governo.

Questo disastro è figlio innanzitutto della guerra commerciale internazionale più stupida della storia scatenata dall’amministrazione USA, con dazi verso tutto il mondo calcolati a casaccio e con una totale sottovalutazione delle conseguenze di queste scelte.

Gli effetti di questa politica demenziale stanno mettendo in discussione le prospettive di crescita economica mondiale e la stabilità dei mercati finanziari.

In America l’introduzione dei dazi ha alimentato le aspettative di inflazione, ha messo in ginocchio i settori della vendita al dettaglio e dei trasporti e ha provocato un crollo disastroso delle borse.

I rischi di recessione, lo spettro degli scaffali vuoti dei supermercati e le turbolenze nel mercato dei titoli di Stato americani hanno spinto l’amministrazione a cambiare strategia.

La verità è che Trump sta facendo retromarcia, perché il sovranismo commerciale della destra non regge alla prova della realtà.

Tuttavia, molti danni ormai sono stati fatti.

L’incertezza sugli scenari dei prossimi mesi rimane altissima, e frena gli investimenti, gli ordinativi e gli scambi commerciali.

I danni rischiano di essere pesantissimi anche per l’Italia.

Gli USA nel 2024 sono stati il secondo mercato di sbocco per le merci italiane, assorbendo circa il 10 per cento delle nostre esportazioni totali.

L’interscambio commerciale tra gli USA e l’Italia è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni. Nel 2024 abbiamo esportato merci per 65 miliardi di euro e importato per 26 miliardi di euro, con un saldo positivo per 39 miliardi.

Fino al 9 luglio i dazi rimarranno al 10 per cento. Nessuno sa cosa accadrà dopo. Nel frattempo, da gennaio ad oggi il dollaro si è svalutato del 10 per cento.

Sommando i dazi e la svalutazione, il peso reale per le nostre imprese è del 20 per cento.

Se questa condizione non cambierà, perderemo molti miliardi di euro di esportazioni e di PIL e più di 50 mila posti di lavoro, aggravando la già difficile situazione del nostro comparto industriale in caduta da oltre 26 mesi e, più in generale, le prospettive di crescita economica del Paese.

Di fronte a tutto questo, oggi ci aspettavamo parole chiare: su una strategia, su un piano, su una proposta concreta da portare avanti.

In realtà il Governo è in ritardo, fa solo propaganda e non ha la più pallida idea di come tutelare il sistema produttivo italiano.

Sarebbe necessario fare gioco di squadra a livello europeo.

Il Governo invece sta andando a corrente alternata: un giorno la Meloni va da Trump (senza ottenere nessun risultato concreto), il giorno dopo dice di stare con l’Europa, il giorno dopo ancora partecipa a cruciali vertici europei solo in smart working.

Si stanno barcamenando nell’illusione di poter svolgere un ruolo da “ponte”.

Ma fuori dall’Italia alla Meloni come ponte non crede nessuno.

Dovremmo diversificare i mercati per i nostri prodotti, accelerando la ratifica di nuovi accordi commerciali a partire dal trattato con i Paesi del Mercosur.

Ma nessuno ha ancora capito cosa deciderà il governo Meloni sul trattato Mercosur, che creerebbe tra l’Europa e l’America del Sud l’area di libero scambio più grande del mondo.

Dovremmo predisporre un Piano per sostenere il nostro sistema economico, come stanno facendo molti Paesi europei.

La Spagna ha reagito immediatamente attivando un Piano di risposta e rilancio commerciale da 14 miliardi di euro. Il Governo Meloni è fermo alla promessa del fantomatico Piano da 25 miliardi di euro, utilizzando le risorse del PNRR e dei Fondi di coesione. Ossia definanziando interventi già previsti, in buona parte destinati alle aree del mezzogiorno. Ad oggi siamo ancora a carissimo amico e il Piano Meloni è scomparso dai radar.

Avremmo bisogno più che mai di una politica industriale degna di questo nome, perché la sfida di Trump è reindustrializzare gli Stati Uniti, a danno innanzitutto dell’Europa e dell’Italia.

Ad oggi sappiamo solo che il Piano Transizione 5.0 è fallito. Ma per il resto siamo a zero. Il Governo non muove un dito per l’industria mentre interviene sulle banche con una golden power su UniCredit che non sta né in cielo né in terra.

Dovremmo ragionare strategicamente su come superare un modello di sviluppo trainato dalle esportazioni e puntare di più sulla domanda interna.

Ma questo vorrebbe dire affrontare strutturalmente la questione salariale, mentre il Governo o nega il problema o fa muro contro proposte come l’introduzione del salario minimo legale.

Trump farà retromarcia perché si sta schiantando contro il mondo reale. La sua guerra commerciale sta affossando l’economia americana e sta accelerando il declino dell’Occidente.

Ma il mondo non tornerà quello di prima.

La stagione della globalizzazione è al tramonto.

Andava riformata, resa più sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.

La destra la sta rottamando, portandoci verso un mondo frammentato e conflittuale.

Se non ci attrezzeremo rapidamente, faremo la fine dei vasi di coccio tra i vasi di ferro.

Dal Governo finora abbiamo ascoltato solo parole vuote. Non c’è una visione né una strategia.

Si galleggia sperando che la fortuna ci aiuti. È un problema molto serio per il nostro Paese.

Antonio Misiani

Senatore, responsabile economico della Segreteria nazionale del Partito Democratico

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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