Il sorteggio dei membri
del CSM non intacca la rappresentatività


Tra gli argomenti “nobili”, di solito utilizzati per avversare il disegno di riforma costituzionale della Magistratura nella parte in cui è prevista la designazione mediante sorteggio dei membri del CSM, vi è, notoriamente, quello secondo cui esso mortificherebbe “la rappresentatività”, privando i magistrati della possibilità di eleggere i propri rappresentanti. In questi termini si è espresso, ad esempio, il Presidente dell’ANM Cesare Parodi in occasione della sua audizione in Commissione Affari Costituzionali al Senato il 20 febbraio 2025.

Altro argomento, meno nobile, ma non meno persuasivo tra gli addetti ai lavori, è quello secondo il quale il sorteggio priverebbe i togati di autorevolezza rispetto alla componente laica, atteso che non garantirebbe la selezione, consentendo la designazione di magistrati non particolarmente qualificati.

Giova preliminarmente affrontare il secondo, posto che il primo necessita di qualche riflessione in più.

Un consigliere eletto non è, per definizione, più autorevole di un sorteggiato.

È solo un collega che ha dato prova di fedeltà correntizia; uno che, insomma, come diceva il compianto Bruno Tinti, ha scalato tutta la nomenklatura correntizia: segretario di sezione, segretario nazionale, Giunta, Cdc dell’Anm, Consigli Giudiziari, finalmente il Csm.

Ciò non vuol dire che il sorteggiato sia necessariamente un non correntizzato.

Il fatto, però, di avere avuto accesso all’autogoverno al di fuori del canale correntizio, gli consente automaticamente di affinare virtù ulteriori oltre quella della fedeltà.

Perciò, tralasciando facili sillogismi con il giudice naturale che “tocca in sorte” al cittadino-utente, e senza timore di affrontare il tema della fisiologica gamma di spessore umano e professionale che si rinviene in tutte le categorie professionali, può semplicemente dirsi che l’argomento della scarsa autorevolezza del sorteggiato è smentito dalla considerazione che egli non ha ricevuto investitura elettorale e non ha, pertanto, debiti di consenso da onorare nell’esercizio della funzione consiliare.

Qui risiede il punto della discussione, poiché la funzione consiliare non è assimilabile al mandato parlamentare, giacché si esplica nell’adozione – non di atti politici bensì – di atti di alta amministrazione, che non hanno portata astratta e generale, ma sono destinati ad incidere direttamente sulle vicende di carriera dei singoli magistrati.

È palese il paradosso, nel sistema attuale, della completa sovrapposizione tra corpo elettorale e corpo amministrato, nella quale chi vota vanta una posizione di interesse qualificato rispetto alle singole decisioni consiliari.  

L’autorevolezza del sorteggiato, nel confronto dialettico con i membri laici, discende, appunto, dalla considerazione che egli non replica dai laici il vincolo di mandato, non ha un elettorato da coltivare, né muta (o dovrebbe non mutare), nell’esercizio delle funzioni consiliari, la postura di attenzione al fatto e di interpretazione costituzionalmente orientata della norma che deve orientare tutti i magistrati nel quotidiano esercizio della giurisdizione.

Affermava Calamandrei, nei lavori preparatori alla redazione dell’articolo 104 Cost., che “Per avere una giustizia effettivamente funzionante e distaccata dalla politica, è necessario … avere organi che siano in grado di applicare il diritto in modo eguale in tutti i casi, tecnicamente preparati e in condizione di giudicare con serenità e imparzialità. A questo fine occorre adottare il sistema dell’autogoverno; lasciare, cioè, ai giudici la facoltà di nominarsi, promuoversi e governarsi” (verbale della seduta di Sottocommissione dell’Assemblea costituente dell’8 gennaio 1947).  

Tale affermazione di principio spiega la necessità dell’autogoverno (nominarsi) e conferma la natura amministrativa dell’attività consiliare (promuoversi e governarsi), senza, peraltro, confliggere con la legittimità costituzionale del sorteggio.

In realtà, lo “scopo” che si prefiggevano i Padri costituenti quando ragionavano di un organo a composizione mista – di togati e di laici – non era quello di affiancare gli eletti della magistratura agli eletti della politica, quanto, piuttosto, quello, del tutto differente, “di sganciare il potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato, per evitare qualsiasi ingerenza, ma nello stesso tempo di impedire il crearsi di una casta chiusa della Magistratura” (Giovanni Leone, ibidem).

Per realizzare tale equilibrio essi ritenevano che il Consiglio – al quale sarebbero stati affidati i poteri direttivi della vita giudiziaria – dovesse essere “formato da rappresentanti dei magistrati”, per tali dovendosi intendere i rappresentanti di tutte le articolazioni del potere giudiziario (requirente, merito e legittimità), non certo dei diversi “orientamenti culturali” della magistratura.

In tal senso si è inequivocabilmente espressa la Corte Costituzionale, che ha fatto riferimento a “componenti appartenenti ad una delle categorie di magistrati”, e ciò “non perché in questo si faccia luogo a rappresentanza di interessi di gruppo – il che sarebbe del tutto inconciliabile con il carattere assolutamente generale degli interessi affidati alla cura di quell’organo -, ma in considerazione del fatto che le linee strutturali segnate nell’art. 104 Cost.” sono “ispirate all’esigenza che all’esercizio dei delicati compiti inerenti al governo della magistratura contribuiscano le diverse esperienze di cui le singole categorie sono portatrici” (Corte Cost. – sentenza n. 12/1971).

 “Né può affermarsi, come si assume, che il Consiglio superiore rappresenti, in senso tecnico, l’ordine giudiziario,”, potendo, al più, parlarsi “di organo a composizione parzialmente rappresentativa”, dove la composizione mista serve ad “evitare che l’ordine giudiziario abbia a porsi come un corpo separato” (Corte Cost. – sentenza n. 142/1973).

Premessa logica di tale postulato non è la necessità del medesimo meccanismo di selezione dei laici e dei togati, quanto piuttosto la terzietà degli uni e degli altri rispetto agli interessi amministrati.

Rappresentare in Consiglio un gruppo culturalmente omogeneo di magistrati (una corrente), è condizione ostativa all’esercizio imparziale delle prerogative consiliari, poiché quel gruppo sarà inevitabilmente indotto a privilegiare i propri elettori nella designazione dei vertici giudiziari, piuttosto che i “migliori” tra tutti gli aspiranti.

In definitiva, tornando al primo punto, il sorteggio dei consiglieri superiori non intacca la rappresentatività, poiché essa non è stata intesa dai Padri costituenti, né storicamente poteva esserlo, come rappresentanza delle Correnti, ovvero dei diversi “orientamenti culturali” della magistratura, bensì come semplice rappresentanza per “categorie” di magistrati.

Gli “orientamenti culturali”, che hanno nel tempo assunto la veste di Correnti, possono e debbono, invece, avere diritto di cittadinanza nel solo ambito dell’associazionismo giudiziario, con la forza propulsiva del confronto di idee che è loro propria.

Ogni residua perplessità di chi intenda approcciarsi alla questione senza pregiudizi si infrange, in ogni caso, di fronte alla prospettiva di adozione del metodo del sorteggio “temperato” (sorteggio seguito dal voto o voto tra i sorteggiati), che consentirebbe il giusto contemperamento tra “indipendenza” e “selezione” dei consiglieri superiori.

Nel senso del “temperamento” il Governo ha recentemente, e in più occasioni, mostrato aperture, differendo la declinazione della questione al momento della redazione delle leggi attuative.

Il tema è molto serio, poiché l’individuazione delle modalità di esplicazione del temperamento dimostrerà le vere intenzioni del Legislatore.

Se si vuole, cioè, realmente perseguire l’obiettivo di indebolire il condizionamento correntizio sull’attività consiliare, o non, piuttosto, cambiare la forma, lasciando intatta la sostanza del problema.

Natalia Ceccarelli

Magistrato, membro del Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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