Ci troviamo in piena campagna elettorale per i ballottaggi alle amministrative del 17 e 18 ottobre in città importanti come Roma, Torino e Trieste, ma le urne, all’esito del primo turno di voto, hanno comunque emesso alcuni verdetti. Tra questi, l’astensionismo in forte ascesa è sicuramente il più allarmante. La sua giustificazione, e la più gettonata, poggia su una certa disaffezione nei confronti della politica, che non sa parlare ai cittadini e non intercetta più i loro bisogni reali. Ma tra gli elettori c’è chi, invece, punta il dito contro una classe di politici inconsistenti, impreparati, spesso screditati, ovvero, più civilmente, trova nell’offerta politica ovvietà, banalità, programmi sovrapponibili e spesso irrealizzabili.
La sintesi, comunque, è che un italiano su due non va a votare.
Alle motivazioni di cui sopra, concorre anche la scelta di candidati che, certamente maestri nella loro sfera di competenza professionale, nulla hanno avuto a che fare nella propria formazione e percorso di vita con la politica. Mai un impegno diretto, mai una candidatura, neanche alle elezioni nei Municipi.
E al dunque, senza preamboli, quali garanzie possono offrire questi candidati, per quanto ottimi professionisti, ai cittadini che chiedono risposte concrete alle criticità delle proprie città? Con quale forma mentis verrebbero a proporre soluzioni efficaci per superare problematiche urbane incancrenite nel tempo, relative a viabilità, parcheggi, smaltimento rifiuti, sviluppo sostenibile, ecc.?
Diceva Platone: “in politica presumiamo che tutti coloro i quali sanno conquistarsi i voti, sappiano anche amministrare una città. Quando siamo ammalati chiamiamo un medico provetto, che dia garanzia di una preparazione specifica e di competenza tecnica. Non ci fidiamo del medico più bello o più eloquente”.
Un tempo esisteva la classica gavetta, affrontata da chi si affacciava alla vita politica, attraverso candidature progressive, prima alle elezioni circoscrizionali, poi alle comunali o regionali, quindi alle politiche.
C’era un periodo, più o meno lungo, tra formazione, crescita e affermazione con un eventuale incarico di prestigio all’interno del partito di appartenenza, che garantiva una conoscenza dell’amministrazione della cosa pubblica, una competenza e un’affidabilità, che spesso oggi non rinveniamo nei candidati.
Se la politica e, nello specifico, i partiti non sono in grado di esprimere nomi credibili, è pur vero che esistono elettori che si limitano a votare il candidato indicato dal partito o dalla coalizione cui si riconoscono, magari, come spesso si dice, turandosi il naso, ma di certo non sarà quel candidato a fare la differenza (com’è stato dimostrato), non riuscendo a intercettare il consenso degli indecisi che, anzi, saranno ancor più decisi a non votarlo, ovvero a non votare. Peraltro, è lo stesso partito che lo designa a palesarsi privo di una classe dirigente adeguata!
Il cosiddetto candidato della società civile, per essere apprezzato, deve avere un vissuto di impegno pubblico, acquisito competenze e dimostrato di essere un buon amministratore. Deve aver assunto impegni diretti anche nell’associazionismo, nel volontariato o rappresentanza ad alti livelli, altrimenti è decisamente meglio candidare il politico di professione.
Quindi, non si ingannino gli elettori e non si offenda la loro intelligenza. La politica non è qualcosa di astratto o evanescente, che consente ai politici di prenderne le distanze e dire che oggi non interessa più, o non dà risposte, o è lontana dai cittadini.
Sono proprio loro, i politici, persone fisiche con le proprie storie, esperienze, competenze e scelte operate sul campo e nel tempo, che devono risultare credibili.
Finché ci saranno logiche di spartizione nelle scelte dei candidati da parte delle coalizioni di partiti (Roma a me, Milano a te…), soprattutto con riferimento alle elezioni amministrative, dove il fattore territorio è fondamentale, l’astensionismo resterà imperante e le bocciature brucianti.
Per Albert Einstein: “chi attribuisce alla crisi i propri fallimenti, dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza”. Come non condividere?
La sconfitta di certi candidati deve, quindi, far riflettere, ancora una volta, sulla formazione politica. Non si mandano candidati allo sbaraglio, andando a braccetto con la loro voglia di emergere e non si prendono in giro gli elettori, che oggi più di prima, nel rispetto del sistema di voto, sanno chi promuovere. Il partito degli elettori è un partito a cui molti non aderiscono, essendo quello dei non elettori che fa la differenza nel silenzio dirompente del dissenso per la classe politica.
L’Italia, non più l’America, è il Paese delle grandi opportunità. È più facile e rapido diventare ministro, che laurearsi e sacrificarsi con l’apprendistato e nel tempo per raggiungere l’affermazione professionale, ovvero ascendere le gerarchie degli organigrammi aziendali.
Dal 3 agosto siamo entrati nel semestre bianco e tra meno di due anni, a scadenza naturale della legislatura, non credo prima riponendo piena fiducia nel Governo di Mario Draghi, si dovrebbero tenere le elezioni politiche.
Auspichiamo, con buona dose di ottimismo, che queste ultime elezioni amministrative siano state di monito per i partiti e che si abbia finalmente un salto di qualità nelle prossime candidature proposte e nell’offerta dei programmi, così da dare più sostanza alla rappresentatività della nostra democrazia.