L’università, la politica
e i fondi della discordia


Centro di studi e libertà di espressione, l’università ha da sempre incarnato la volontà e la voglia dei futuri “dottori” di far emergere le proprie più recondite competenze e aspettative fino al raggiungimento di quell’ambito traguardo che li accompagnerà e caratterizzerà nella vita lavorativa.

Mantenere le università quali simboli di un’indagine aperta, scevra da ritorsioni e censure, rappresenta un elemento indispensabile per garantire l’autonomia e l’indipendenza delle istituzioni educative, atteso che qualsivoglia tipo di riforma non deve in alcun modo essere imposta, ma puntualmente analizzata e condivisa da tutti i destinatari.

Nel nostro Paese il Ministero dell’Università e della ricerca fissa con apposito decreto le linee generali d’indirizzo della programmazione triennale del sistema universitario e i relativi indicatori per la valutazione periodica dei risultati. Costituiscono obiettivi della programmazione: l’innovazione della didattica universitaria e l’ampliamento dell’accesso alla formazione universitaria; la promozione delle reti di ricerca e valorizzare l’attrattività del Paese; il potenziamento dei servizi per il benessere degli studenti e la riduzione delle diseguaglianze; la promozione della dimensione internazionale dell’alta formazione e della ricerca; la valorizzazione del personale delle università anche attraverso la mobilità.

Per raggiungere tali obiettivi, il Ministero dell’Università mette annualmente a disposizione degli atenei specifiche risorse, costituite in buona parte dal Fondo di Finanziamento Ordinario, che per il 2025 ha raggiunto, come dichiarato dallo stesso Ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, “una cifra record” di 9,4 miliardi di Euro, “336 milioni in più rispetto allo scorso anno”, a cui, fra l’altro, vengono a sommarsi gli ulteriori 37,5 milioni di Euro per il finanziamento dei contratti di ricerca, questi ultimi appositamente destinati a coloro che hanno concluso un percorso dottorale, con lo specifico obiettivo di incentivarne l’ingresso in università.

Significativa è stata negli ultimi anni anche l’evoluzione normativa, che si rileva fortemente incidere sulle regole di attribuzione delle risorse statali al comparto universitario; innovativi sono stati i criteri che, in sostituzione di una consueta storicità, fanno ora riferimento a diversi parametri, quali, il costo standard per studente, gli interventi perequativi a salvaguardia di situazioni di peculiare criticità, la quota premiale legata ai risultati della didattica e della ricerca.

Una formazione universitaria di qualità, garantita sempre e a tutti” è l’ambizioso obiettivo che il Ministro Bernini intende raggiungere, ove “gli atenei devono dimostrare di aver saputo spendere bene” e dove sarà necessario, anche in un’ottica di internalizzazione e cooperazione scientifica con gli altri Paesi, “prevedere la domanda di nuove figure professionali sempre più specializzate”.

Realtà completamente diversa è, invece, quella che stanno vivendo le università americane, dove, a pochi mesi dall’insediamento del Presidente Donald Trump, oltre 150 tra atenei e college hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta per denunciare l’ingerenza politica della nuova amministrazione. Significativo in tal senso è l’attacco subito dalla Harvard University che, al rifiuto di uniformarsi alle nuove decisioni federali volte, tra l’altro, alla soppressione di organizzazioni studentesche pro-Palestina ed alla revisione delle opinioni politiche di docenti e studenti, ha subito non solo il congelamento di oltre 2 miliardi di dollari di finanziamenti destinati alla ricerca, ma anche una possibile revoca dello status di istituzione fiscalmente agevolata. Per non parlare poi di quanto comunicato da Kristi Noem, segretaria alla sicurezza interna USA: “Vi scrivo per informarvi che, con effetto immediato, la certificazione del programma per studenti e visitatori stranieri dell’università di Harvard è revocata”, aggiungendo che la decisione potrebbe estendersi anche ad altre università americane.

Pronta la risposta da Harvard: “l’azione del governo è illegale e siamo pienamente a mantenere la capacità di ospitare studenti e studiosi internazionali da oltre 140 Paesi”.

Ne è scaturita una dichiarazione, come coordinata dall’American Association of Colleges and Universities, che si oppone con fermezza a qualsivoglia forma di intrusione politica nella vita accademica, accusando la nuova amministrazione americana di voler controllare il mondo universitario in pieno contrasto con i primari diritti costituzionali.

Ci troviamo nel bel mezzo di un chiaro scontro di poteri, che vede da un lato la Casa Bianca ascrivere alle università un mancato contrasto all’antisemitismo con la necessità di garantire nei campus maggiore ordine e sicurezza, dall’altro gli stessi atenei scagliarsi contro le nuove politiche volute da Trump, ritenute un mero pretesto per esercitare un controllo ideologico sulle istituzioni educative, privandole della loro naturale autonomia quale fondamentale pilastro della democrazia e innovazione americana.

La contrapposizione costituisce un passaggio cruciale per il futuro dell’istruzione superiore americana, venendo altresì a richiamare interessi fondamentali quali la libertà di espressione e la separazione dei poteri.

In questo processo di polemiche, denunce e contenziosi, non resta oggi che aspettare la decisione del tribunale del Massachusetts che potrà, o accogliere le richieste della Harvard University, obbligando la nuova amministrazione a sboccare i fondi e rivedere le proprie scelte in tema di libertà accademica, o aprire la strada verso un controllo “politico” delle università a discapito della loro autonomia di governance, che da sempre li ha resi portatori di un pensiero libero ed indipendente. Il tutto con l’auspicio che quanto sta accadendo negli Stati Uniti non abbia effetti contagiosi in altri Paesi a “Governi forti”!

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