Nel pieno del calciomercato di agosto i petrodollari arabi hanno provato, tra gli altri, a portare via dal Campionato di calcio Seria A forse il talento migliore che abbiamo: l’argentino Dybala.
Quando tutto sembrava scontato e fatto, in questo caso anche per la volontà o almeno la non opposizione della sua società di appartenenza, il colpo di scena.
Paulo Dybala rifiuta 75 milioni di euro per tre anni del nuovo contratto e decide di rimanere alla Roma.
Il calcio è tutto e i milioni di euro lo sono un po’ di meno.
Certo Dybala di milioni ne ha guadagnati tanti in passato e li continuerà a guadagnare anche rimanendo alla Roma, ma il rifiuto di quel contratto abnorme con una società di calcio araba fa rumore.
E ci dà una piccola speranza: la famiglia, sembra decisiva sia stata la sua giovane sposa che certo non voleva passare i prossimi tre anni in un albergo dorato ma sempre albergo era, l’affetto di una città che lo ha accolto alla grande, il non sentirsi già pensionato d’oro a 31 anni le motivazioni di una scelta.
Allora il denaro non è tutto: certo è importante per vivere bene ma poi lo sport, la qualità della vita, gli affetti privati e pubblici possono ancora avere un valore.
Senza enfasi o facile demagogia questa storia raccontiamola per quello che è ai nostri figli o nipoti, nelle scuole calcio delle periferie, nelle scuole e nei licei.
Abbiamo bisogno di raccontare che il denaro non è tutto e la vita può prendere una svolta positiva anche inseguendo un affetto o una passione
Raccontiamolo anche ai vertici del nostro calcio, che hanno venduto una passione popolare alla dittatura dei diritti televisivi, peraltro a volte, di pessima qualità.
Raccontiamolo a quelle società, che anziché far crescere i vivai giovanili preferiscono fare operazioni improbabili sui campionati africani solo per provare a mettere in bilancio plusvalenze future; o a chi vorrebbe trasformare i tifosi in clienti, lasciandoli poi in stadi dove è impossibile andare persino in bagni decenti.
Questa bella storia di Dybala (ovviamente senza facile demagogia) potrebbe suggerire anche la ricerca di un tavolo tra la Uefa e l’organismo di gestione del calcio arabo per aprire un confronto reciproco e ragionare su un accordo di calmierazione dei prezzi di ingaggio dei giocatori provenienti dai campionati europei.
Il calcio arabo ha ovviamente tutto il diritto di crescere ed investire ma è evidente che i cartellini comprati negli ultimi due anni non hanno fatto salire, né di qualità né di visibilità internazionale, i loro campionati.
Sono altre le iniziative che potrebbero essere messe in campo meno dispendiose e con vantaggi reciproci a partire da stage per i vivai del calcio giovanile arabo in Europa e sono uno scambio dei diritti televisivi.
La cronaca delle ultime settimane, infine, ci consegna un nuovo episodio drammatico nella storia intrecciata delle periferie con alcune curve e pezzi di criminalità più o meno organizzata come accaduto di recente a Milano.
Facile perbenismo di condanna che però trasuda di ipocrisia: sono invece evidenti i fallimenti di 20 anni di politiche securitarie e repressive verso le curve.
I daspo, i divieti, le tessere del tifoso non solo non hanno risolto il problema, semmai hanno contribuito ad aggravarlo togliendo spazio ai gruppi storici del tifo e lasciando praterie a chi era in grado di gestire questo salto di qualità con più risorse economiche e più protezioni extrastadio.
Il cd business del tifo, in un calcio in cui tutti speculano e fanno soldi, è una realtà che va regolarizzata non criminalizzata cosi come il modello di associazionismo sportivo del calcio tedesco andrebbe studiato e forse applicato anche in Italia.
Ecco, ci può essere un filo conduttore che dalla vicenda di Dybala può riaprire una riflessione sul calcio nel suo insieme e sulle stesse tifoserie: al momento non è arrivato ancora alcun segnale che questo percorso di riflessione sia iniziato.
Noi però, innamorati del pallone e dello sport più popolare, continuiamo a insistere.