Istituto di compliance, volto a razionalizzare gli obblighi dichiarativi e favorire l’adempimento spontaneo, il Concordato Preventivo Biennale (CPB), previsto in via sperimentale e per un solo anno per i contribuenti forfettari, ex art. 5, Dlgs n. 13 del 12 febbraio 2024, è una proposta che l’Agenzia delle Entrate formula ai contribuenti esercenti attività d’impresa, arti o professioni, soggetti agli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), di cui all’art. 9-bis, D.L. n. 50/2017, quale “accordo”, che permette di quantizzare il debito d’imposta e versare i tributi non in base agli effettivi redditi conseguiti, ma su quanto preventivato dall’Agenzia delle Entrate.
Accettando la proposta dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente percettore di reddito di lavoro autonomo o d’impresa, nei periodi d’imposta oggetto del CPB, si obbliga al rispettato degli ordinari adempimenti contabili e dichiarativi, riportando gli importi (redditi) concordati nelle previste dichiarazioni dei redditi ed IRAP, risultando escluso dagli accertamenti, ex art. 39 del DPR n. 600/73 e venendo altresì ad usufruire dei benefici premiali previsti per il regime degli ISA, quali l’esonero dal visto di conformità, l’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici, l’anticipazione di almeno un anno dei termini di decadenza delle attività di accertamento, ecc.
L’adesione al concordato non risulta, invece, avere alcun effetto relativamente all’Imposta sul Valore Aggiunto, aspetto questo che dovrebbe necessariamente essere sanato.
Posto quanto sopra, non di poco conto sono i dubbi che condizionano la scelta del contribuente, il quale, a fronte di benefici comunque relativi, si trova non solo ad affrontare costi non trascurabili, ma anche a dover valutare l’impossibilità a derogare ad un accordo quandanche risulti in seguito sfavorevole.
Se, infatti, non sono previste semplificazioni in tema di dichiarazioni fiscali, redazione e conservazione dei documenti contabili, a cui si viene ad aggiungere il carico fiscale legato al maggior reddito da dichiarazione come proposto dall’Agenzia, non si può nemmeno sottovalutare il compenso da corrispondere al consulente incaricato delle incombenze legate alla valutazione e adesione alla proposta de qua: l’Associazione Dottori Commercialisti ha recentemente quantificato in Euro 650, ulteriormente incrementabile in caso di accettazione della proposta formulata dall’Agenzia, l’emolumento che dovrà essere corrisposto al professionista per l’assistenza in materia.
La proposta appare di un qualche interesse solamente per i contribuenti che hanno un valore di ISA uguale a 10 e con una previsione di redditività in sufficiente crescita, atteso che nei loro confronti l’Agenzia delle Entrate verrà a proporre un incremento di reddito presumibilmente modesto.
Ugualmente, saranno in grado di ponderare al meglio la proposta i contribuenti in regime forfettario, i quali, chiamati ad aderire in via sperimentale per il solo 2024, avranno a disposizione sufficienti elementi per verificare con la dovuta contezza se i redditi effettivamente realizzabili nell’anno di interesse siano in grado di uguagliare, se non anche superare, la proposta formulata dall’Agenzia delle Entrate.
Per tutti gli altri, la proposta non può, quindi, che ritenersi poco attraente, con un meccanismo piuttosto rigido e dai costi significativi a fronte di benefici tutto sommato evanescenti.
Peraltro, considerato che nel 2023 le nuove partite IVA sono state 492.176 (dato dell’Osservatorio sulle partite IVA del MEF) e che l’attività di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate si limita ad un modesto 5%, risulta evidente come il vantaggio di vedere scongiurato un eventuale accertamento proprio aderendo alla proposta, sia quantomai, ribadisco evanescente, al fine di stimolare nel contribuente la volontà di adesione, soprattutto quando questi ha sempre mantenuto un comportamento lineare nei rapporti col fisco, fatturando, registrando e dichiarando quanto annualmente percepito.
Il sistema, come partorito dall’Agenzia, più che garantire un extragettito per consentire una possibile riduzione delle aliquote fiscali, appare solo un tentativo di far cassa, supportato da entrate certe e predeterminate, a fronte di minori costi per accertamenti, ovvero verifiche, il tutto a mero discapito dei contribuenti che, sulla scorta di possibili e più mirati controlli, si vedono “invitati” ad accettare un mero reddito stimato, slegato dagli effettivi risultati conseguiti.
Potrebbe essere più opportuno abbandonare la strada del reddito “presunto” per orientarsi verso una forma di tassazione forfettaria, come già avviene ai sensi della Legge di Stabilità 2015, poi modificata dalla Legge di Stabilità 2016, tenuto conto che nel 2023, a fronte di oltre 492.000 nuove partite IVA, circa il 49%, ovvero 238.766, ha scelto questo vantaggioso regime fiscale. In tal senso, un allargamento della platea dei contribuenti forfettari, attraverso un innalzamento del tetto di reddito, oggi posto a Euro 85.000, con un incremento dell’aliquota di prelievo, oggi pari al 15%, potrebbe di certo stimolare una maggiore propensione da parte di quei contribuenti che risulterebbero verosimilmente restii ad aderire ad una proposta che si rileva, come detto, onerosa, poco conveniente e, soprattutto, in seguito non rinunciabile, a prescindere dalle specifiche circostanze che si verrebbero eventualmente a registrare, quali, ad esempio, una malattia o una maternità con conseguente minor impegno lavorativo, un cambio di prodotto o linea produttiva per esigenze aziendali con l’assunzione di nuovi rischi, ovvero un evento comunque straordinario (fusione, scissione, scorporo), che abbia condizionato la capacità produttiva.
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili è già intervenuto con un comunicato stampa il 9 luglio u.s., proponendo una tassazione flat su reddito incrementale concordato rispetto a quanto dichiarato l’anno precedente all’ingresso nel regime: un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e relative addizionali, con aliquota del 10% per i contribuenti “affidabili” fiscalmente con punteggio ISA da 8 a 10, del 12% per i soggetti con “pagella” tra il 6 e l’8 e del 15% per i soggetti meno “affidabili” con voto inferiore a 6. Questa “tassa piatta” incrementale potrà consentire di aderire al concordato anche a chi riceve proposte con redditi concordatari consistenti, come accade in particolare ai contribuenti meno “affidabili” fiscalmente, mitigando così gli esiti degli ISA che, per loro natura, essendo basati su elaborazioni statistiche di larga scala, talvolta non colgono pienamente le peculiarità dell’attività del contribuente.
Siamo solo agli inizi della formazione di una novella fiscale di non poco momento, atteso il più ampio riequilibrio dei rapporti fra contribuente e fisco, che questo Governo sembra voler perseguire.
I tempi sono ampi per agire in un’ottica migliorativa del CBP come prospettato oggi, perché, nel bilanciamento degli interessi, avere maggiore contezza delle entrate per poter più attendibilmente approcciare la formazione di una legge di bilancio e “fare cassa” per poter intervenire sul più generale alleggerimento della pressione fiscale, costituiscono aspetti che troverebbero fattuale riscontro solo se i contribuenti vedranno un reale vantaggio nell’accogliere la proposta dell’Agenzia.
Fin qui solo alcune osservazioni, che, insieme ad altre, il legislatore fiscale dovrebbe ben considerare nella stesura del testo di legge finale, se vorrà che il Concordato Preventivo Biennale trovi accoglimento fra i contribuenti, auspicando altresì che in futuro il ceto professionale competente possa essere audito, ex ante, soprattutto quando si intendono varare misure economiche e fiscali per le quali, come in questo caso, viene richiesta l’adesione del contribuente.