Alle elezioni politiche del 25 settembre, il 36% degli aventi diritto al voto ha disertato le urne.
Ancora una volta il partito degli astenuti ha vinto, anzi ha stravinto perché dal 1948 ad oggi ha raggiunto il suo miglior risultato!
Se nel 2006 la partecipazione al voto è stata dell’84,2% degli aventi diritto e dell’87,25% nel 1992, all’ultima consultazione politica è letteralmente crollata al 63,9%, il dato più basso in assoluto, con un calo del 9% rispetto alle politiche del 2018.
Le cause sono imputabili a molteplici fattori:
- disaffezione alla politica nei presupposti di accezione comune che “tanto non cambia nulla”, “i partiti sono tutti uguali”, “i politici pensano solo ai propri interessi”;
- programmi dei partiti fin troppo simili, talvolta mirabolanti, considerate le proposte spesso sui generis, poco credibili e regolarmente disattese in corso di legislatura; leggendo il fact-checking di Pagella Politica, emerge che il 96% delle promesse contenute nei programmi elettorali non avrebbero copertura finanziaria;
- crisi dei partiti, che nel corso della legislatura non riescono a intercettare l’attenzione e l’interesse dei cittadini, dando spazio a iniziative di chiara impronta populista e propagandista, alla ricerca di più facili consensi, che alla risoluzione dei problemi reali;
- l’elettore non sceglie gli eletti, perché imposti dalle segreterie dei partiti nelle circoscrizioni, indipendentemente dalla conoscenza del territorio;
- il continuo “cambio di casacca” di deputati e senatori, che si dimostrano incoerenti e inaffidabili, venendo meno a quel patto di rappresentatività, sia pur teorico, con gli elettori; dal 2018 ad oggi abbiamo assistito a ben 306 casi di riposizionamento di parlamentari;
- declino della legittimazione della classe politica; è lo scandalo di tangentopoli, che ha scardinato un intero sistema politico, determinando lentamente e progressivamente un calo importante dell’affluenza alle urne;
- sfiducia nelle istituzioni e nel sistema giudiziario in particolare; basti pensare che dai dati raccolti da Eurispes nel 2022 e pubblicati nel 34° Rapporto Italia, il 65,9% degli italiani (2 su 3) non ha fiducia nel sistema giudiziario italiano e l’80,2% degli italiani intervistati (4 su 5) ritiene che i giudici dovrebbero sottostare al medesimo sistema giudiziario applicato ai cittadini comuni;
- la scomparsa delle ideologie, un tempo (comunismo e neo fascismo) linee di demarcazione fra i partiti, ha fatto sì che nascessero i “partiti persona”, incentrati sul carisma del proprio leader, senza un vero programma strutturato e l’assenza di volontà a formare al proprio interno una classe politica di qualità;
- difficoltà / impossibilità del voto fuori sede, considerati i numerosi elettori che non sono rientrati a casa per votare.
È vero che esiste la legittimità del non voto, quale diritto pieno di ciascun cittadino, ma il rischio fondato è che si lasci il governo della cosa pubblica nelle mani di chi ha avuto il consenso di pochi.
La scarsa partecipazione alle elezioni fa sì che più di 1 individuo su 3 non vota e se volessimo calcolare le percentuali tenendo conto dell’intero corpo elettorale, prendendo ad esempio Fratelli d’Italia, il primo partito nazionale, questo sarebbe intorno al 14%. E la coalizione di centrodestra, risultata vincitrice, in pratica avrebbe ricevuto il voto favorevole di un quarto della totalità degli aventi diritto al voto.
Bisogna lavorare con idee e proposte concrete per ricostruire la fiducia fra cittadini e politica, fra elettori e partiti.
La non partecipazione al voto è divenuta non più un fenomeno occasionale o accidentale. È strutturale a tutti gli effetti, si è consolidata, anzi è peggiorata.
Se poi all’astensionismo si aggiungono le schede bianche, che insieme a quelle nulle costituiscono il voto cosiddetto “inespresso”, ecco che la percentuale del dissenso aumenta.
Volendo ipotizzare soluzioni per far fronte al non voto, eccone alcune, sicuramente non esaustive, ma che di certo migliorerebbero la situazione in cui si versa attualmente:
- candidare personalità rispettabili e autorevoli (non peones), che forti del proprio curriculum siano di appeal per l’elettore che si possa sentire adeguatamente e qualitativamente rappresentato;
- riformare il sistema di voto e la scelta dei candidati nei collegi; il sistema attuale (definito Porcellum, il che dice tutto) “impone” i candidati da parte delle segreterie dei partiti, che non tengono nel benché minimo conto il radicamento nel territorio, venendo a proporre il candidato in questo o quel collegio, solo perché è un “collegio sicuro”, o comunque conveniente;
- limitare ulteriormente il “cambio di casacca”, anche se bisogna dare atto che nel 2022 sono stati approvati i regolamenti per disincentivare la vivacità dei “transfughi”;
- introdurre il voto per via telematica, che di certo favorirebbe la partecipazione dei fuori sede, che non sarebbero costretti a viaggiare per esercitare il proprio diritto.
Lo stesso Cardinale Matteo Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nel suo intervento al Consiglio Episcopale Permanente ha recentemente stigmatizzato che “Purtroppo, dobbiamo registrare con preoccupazione il crescente astensionismo, che ha caratterizzato questa tornata elettorale, raggiungendo livelli mai visti in passato. È il sintomo di un disagio che non può essere archiviato con superficialità e che deve invece essere ascoltato. Per questo, rinnoviamo con ancora maggiore convinzione l’invito a ‘essere protagonisti del futuro’, nella consapevolezza che sia necessario ricostruire un tessuto di relazioni umane, di cui anche la politica non possa fare a meno”.
Mi sembra un monito ed uno sprone al quale bisognerebbe aderire con entusiasmo, perché la crisi di sistema degli ultimi anni possa vivere un’inversione di tendenza e la democrazia rappresentativa e partecipativa avere un significato vero e concreto, non solo per le dissertazioni dottrinarie della scienza della politica.