Tassare
l’emersione del contante
è davvero così terribile?

Un governo a caccia di quattrini per contenere il deficit di bilancio, sterilizzare l’aumento dell’IVA, finanziare qualche opera infrastrutturale e riuscire faticosamente a scongiurare la procedura di infrazione da parte dell’UE; per raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica, vengono sfornate proposte e provocazioni, condoni, rottamazioni di cartelle, paci fiscali, tutte operazioni sostanzialmente sinonimi di un accordo contribuente-fisco per fare cassa. Ma c’è un’iniziativa che meriterebbe la dovuta attenzione, considerato l’apprezzabile risultato in termini di entrate, che sicuramente verrebbe a generare. Mi sto riferendo alla tassazione dei capitali custoditi nelle cassette di sicurezza delle banche, abbozzata dal Vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, esplicitata dal Sottosegretario al MEF, Massimo Bitonci e commentata anche da Francesco Greco, Procuratore Capo della Repubblica di Milano, per essere poi sostanzialmente bollata.

Abbiamo assistito a un’alzata di scudi, proveniente da ogni parte politica, finanche dai pentastellati alleati di governo, ma anche da giuristi, economisti, magistrati, contro questa iniziativa, come fosse una diavoleria finanziaria o, peggio ancora, un regalo alla criminalità organizzata per ripulire i contanti accumulati negli anni grazie al commercio di droga, prostituzione, riciclaggio, ecc.

Per superare tanta ritrosia, la Lega ha proposto di limitare la sanatoria al solo contante frutto di evasione fiscale (come se non fosse prevista una sanzione penale anche per tale reato), considerandolo quindi un male minore, un peccato veniale nel coacervo delle attività delinquenziali, che hanno portato a costituire provviste illecite di contanti.

Il tema merita un adeguato approfondimento, ma soprattutto un’equilibrata considerazione, a dispetto di falsi clamori, o moralismi.

Il Comitato di Sicurezza Finanziaria, istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha di recente aggiornato al 2018 “l’Analisi nazionale dei rischi di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo”. In essa si legge “In Italia (…) nel 2016 il contante è stato lo strumento più utilizzato nei punti vendita: l’86% delle transazioni è stato regolato in contanti rispetto al 79% registrato nell’Area euro. (…) Nel 2016 l’economia non osservata (sommerso economico e attività illegali) valeva circa 210 miliardi di euro, pari al 12,4% del PIL. Il valore aggiunto generato dall’economia sommersa ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro (…) Le attività illegali considerate nella compilazione dei conti nazionali (droga, prostituzione e contrabbando di sigarette) hanno generato poco meno di 18 miliardi di euro di valore aggiunto (compreso l’indotto), con un aumento di 0,8% miliardi, sostanzialmente riconducibile alla dinamica dei prezzi relativi al traffico di stupefacenti.”

Numeri interessanti, che sottolineano quanto contante sostenga l’economia reale, ma nessun riferimento, nessuna previsione sul quantum depositato nelle cassette di sicurezza, nelle casseforti degli uffici, o nei materassi di casa, per essere preso e speso. Non è dato conoscere ufficialmente il numero delle cassette di sicurezza in Italia e benché meno ipotizzare i contanti ivi contenuti, ma parliamo sicuramente di somme molto importanti che, se di provenienza illecita, si muovono comunque in mercati paralleli ed immessi nell’economia “ufficiale” allorquando impiegati per l’acquisto di immobili, aziende, esercizi commerciali, ecc. e, quindi, riciclati.

Ma quanto di questo dirty money viene scoperto, se non quando investito in tangible assets, colpiti da confisca? Di certo solo una minima parte! Dobbiamo prendere atto con responsabilità e coerenza, come l’eterna lotta all’illegalità, da combattere a oltranza, sia difficile da vincere, perché ci sarà sempre un mercato parallelo in Italia e nel mondo dove scorrerà denaro da riciclare, difficile da intercettare.

Proviamo, dunque, a chiederci:

1. A quanto potrebbe ammontare il contante conservato nelle cassette di sicurezza, o nelle abitazioni, negli uffici, ecc.?

2. E se si volesse fare emergere questo contante e si applicasse, ad esempio, un’aliquota forfettaria del 15% sulla somma emersa e dichiarata, quanto sarebbe l’introito per lo Stato?

3. E se detto prelievo fosse accompagnato da una sanatoria tombale in riferimento a qualsivoglia tipologia di reato, che abbia generato/fornito le disponibilità dei contanti, atteso che limitare i reati “sanati” alla sola evasione fiscale farebbe verosimilmente naufragare l’iniziativa?

4. E se a tutto questo si aggiungesse l’obbligatorietà di investire in titoli di Stato i contanti dichiarati con un tasso di remunerazione pari a zero, per un periodo non inferiore a 5 anni?

Certamente un’operazione così congegnata costituirebbe si un favor per una moltitudine di malfattori, ma anche un successo per le casse dello Stato, sapendo che di tutti i contanti che le organizzazioni criminali detengono e fanno circolare nei mercati/canali paralleli, solo una piccolissima parte si riuscirà ad intercettare e confiscare.

Indagini e processi hanno dimostrato quanto sia difficile venire a capo di queste disponibilità di illecita provenienza. Talvolta assistiamo alla confisca di patrimoni immobiliari alla criminalità organizzata, ma non è scandaloso dire che per 1 € che si riesce faticosamente a confiscare, 10, 100, 1.000 € restano nascosti e continuano ad essere movimentati in Italia e all’estero. Quindi, un atto di coraggio e di pragmatismo potrebbe essere alla base della tassazione del contante emerso, come rinveniente da qualsivoglia attività.

La risultante sarebbe un enorme flusso di denaro nelle casse dello Stato, che potrebbe davvero consentire un forte rilancio degli investimenti e un importante, decisivo miglioramento dei conti pubblici.

Preg.mo Sottosegretario Bitonci, se la proposta del governo è quella da lei prospettata nell’intervista al Corriere della Sera dell’11 luglio u.s., cioè tassare i contanti solo se provengono da mancata dichiarazione al fisco, con aliquota dal 23% al 43%, aggiungendo l’IVA se si è soggetti a partita IVA, per quanto solo su una parte (30, 40, o 50%) del contante emerso e dichiarato, ho il fondato sospetto, che il risultato sarà un vero flop.

L’incidenza fiscale, considerate le aliquote che propone dal 23 al 43% sul 50 % del contante emerso, sarà quindi dall’11,50% al 21,50%. Troppo alta se supera il 15%! Dimostrare la provenienza del contante per palesare la sola evasione fiscale, sarà arduo, considerato che i cittadini/contribuenti saranno sottoposti a verifiche fiscali, cosa che certamente vorranno evitare. Se poi si aggiunge l’applicazione dell’IVA del 22%, in caso di professionista o impresa, peggio mi sento!

La coperta è corta e la decisione da prendere non è facile.

Due piatti di una bilancia: da un lato pesa la legalizzazione tout court del denaro di illecita provenienza, dall’altro un enorme beneficio per le casse dello Stato. Kant contrapponeva l’ottimismo della speranza al pessimismo della ragione ed io, immodestamente, aggiungo come una calamità talvolta possa diventare una calamita.

È spesso nel rapporto costo/beneficio, che si misurano le scelte di politica economica dei governanti che, con pragmaticità e coraggio, devono dare risposte concrete alle esigenze della collettività nel perseguire il bene comune. C’è del marcio in Danimarca, ma non dimentichiamo che in Italia anche il PD di Renzi abbozzò una proposta in tal senso.

Roberto Serrentino

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Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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