L’elezione di Mattarella non è stata una sconfitta della politica

Gran parte dei media ha presentato l’elezione del Presidente della Repubblica come una generica “sconfitta della politica”. Mi permetto di dissentire: è una lettura superficiale e fuorviante. Superficiale perché sottovaluta la complessità del quadro politico di partenza, con entrambi gli schieramenti lontani dall’avere la maggioranza assoluta dei 1.009 grandi elettori. E quindi privi, nei fatti, di un diritto di prelazione per l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale. Fuorviante perché una parte della politica è uscita effettivamente sconfitta. Un’altra parte assai meno. Non mi addentro nel giochino dei vincitori e dei perdenti. Tutti o quasi si sono fatti un’opinione precisa, in merito. Chi ha preteso di fare da king maker senza avere i numeri è finito contro un muro. Chi ha preso atto della realtà e ha saputo giocare di rimessa ha ottenuto un risultato per molti versi insperato. Il Paese ha assistito a giorni e giorni di montagne russe, ma oggi ha nuovamente alla guida un Presidente come Sergio Mattarella, che nei sette anni del suo primo mandato ha dato prova di equilibrio, solidità e capacità di gestire passaggi politici assai difficili. È questo, alla fine della fiera, ciò che realmente conta.

La riconferma del binomio Mattarella-Draghi è avvenuta nel segno della stabilizzazione del quadro politico. Un valore, in una fase in cui l’Italia non è ancora uscita dall’emergenza sanitaria e deve ancora recuperare pienamente le perdite economiche e sociali del disastroso 2020. Purtroppo, non è detto che tutto questo sia sufficiente. Il dopo-Quirinale ha aperto una vera e propria resa dei conti in molte forze politiche e ha terremotato le due coalizioni, con una dinamica particolarmente dirompente nel centrodestra. Il “polo progressista” è indubbiamente indebolito dalla crisi interna nel Movimento 5 Stelle. Ma la coalizione di centrodestra, per citare le parole di Matteo Salvini, “si è sciolta come neve al sole”. La contraddizione di un’alleanza che un anno fa si è divisa tra forze al governo (Forza Italia e Lega) e un’altra all’opposizione (Fratelli D’Italia) è deflagrata nei giorni del Quirinale, e ci vorrà tempo e pazienza per rimettere insieme i cocci. Vedremo nelle prossime settimane quanta parte di queste tensioni politiche si scaricherà sul governo. Speriamo il meno possibile: l’elenco delle cose da fare nel 2022 è fin troppo nutrito, a partire dai 102 obiettivi del Piano nazionale per la Ripresa che dobbiamo conseguire per accedere agli ulteriori 40 miliardi di risorse europee previste per quest’anno. Di tutto ha bisogno l’Italia, tranne che di un governo paralizzato da forze politiche l’una contro l’altra armate. Meglio sarebbe che il Parlamento prendesse spunto dal discorso di insediamento di Mattarella per definire un’agenda politica per la parte terminale della legislatura. Il Presidente ha indicato con grande forza la direzione da seguire. Rispondere alla questione sociale, che la pandemia ha aggravato: l’emergenza lavoro, il futuro dei giovani, una reale parità di genere, i divari territoriali. Affrontare i nodi istituzionali, dalla riforma dei regolamenti parlamentari alla rigenerazione dei partiti fino al rinnovamento della giustizia, alle prese con una profonda e delicata crisi di credibilità. Manca poco più di un anno alle prossime elezioni politiche. Sono mesi decisivi, vanno utilizzati al meglio.

Antonio Misiani

Senatore, responsabile economico della Segreteria nazionale del Partito Democratico

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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