Lavoro, formazione e istruzione per la rieducazione dei detenuti*

Lavoro, istruzione e formazione sono i principali strumenti attraverso cui dovrebbe articolarsi il principio di rieducazione e, quindi, il reinserimento sociale delle persone private della libertà. È risaputo che la quotidianità detentiva che non offre attività, corsi e opportunità lavorative, oltre a svuotare di senso la pena della reclusione, può determinare un aumento della recidiva. Al 31 dicembre 2021, delle persone detenute nelle carceri italiane, solo il 38% era alla prima carcerazione. Il restante 62% in carcere c’era già stato almeno un’altra volta. Il 18% c’era già stato in precedenza 5 o più volte. Si tratta di tassi di recidiva alti, indicativi del fatto che l’attuale modello penitenziario necessita di interventi importanti e di una maggiore apertura verso l’esterno. Promuovere l’istruzione, il lavoro e la formazione, appare, perciò, una priorità.

In termini generali, il lavoro è una materia di legislazione concorrente fra Stato e Regioni, mentre la formazione professionale è una materia che ricade fra le competenze esclusive delle Regioni. Nel primo caso è il Ministero del Lavoro (in particolare tramite l’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro), che crea dei programmi di politiche attive del lavoro, che vengono poi erogati in collaborazione con gli enti regionali che concorrono allo stesso fine. Invece, nel caso della formazione professionale, lo Stato dà delle linee di indirizzo generali che devono essere poi attuate dalle agenzie regionali responsabili per la formazione professionale. Le agenzie regionali possono indire dei bandi, finanziati direttamente dalle Regioni stesse oppure da altri strumenti quali il Fondo Sociale Europeo, con l’obiettivo di offrire corsi di formazione professionale e azioni di orientamento al lavoro ad alcune categorie di persone particolarmente fragili, tra cui rientrano anche le persone detenute. In carcere, quindi, possono essere avviate lavorazioni, corsi di formazione professionale o possono essere aperti sportelli-lavoro, che prendono in carico le persone detenute in uscita. Dai dati dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, frutto delle 79 schede pubblicate relative alle visite svolte in carcere nel 2023, emerge come solo il 10,1% delle persone detenute era impegnata in corsi di formazione professionale. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, durante il primo semestre del 2023 risultavano attivi 274 corsi professionali, per un totale di 3359 iscritti, di cui 1279 stranieri. A giugno 2023, quindi, gli iscritti ai corsi professionali corrispondevano a poco meno del 6% della popolazione penitenziaria totale. Una percentuale ancora troppo bassa.

Per ciò che concerne le attività lavorative, secondo i dati dell’Osservatorio di Antigone, nel 2023 la media delle persone detenute lavoratrici era pari al 32,6% della popolazione detenuta negli istituti visitati. Tra questi istituti, soltanto 9 presentavano una percentuale di lavoratori superiore al 50% e si trattava comunque di realtà di ristrette dimensioni, dove invece gli istituti di mole superiore registrano percentuali molto inferiori. Ancora più marginale è il dato relativo ai detenuti lavoratori che risultano alle dipendenze di datori di lavoro esterni, pari solo al 3,1%. Ciò vuol dire che solo una piccolissima percentuale svolge attività lavorative che potrebbero potenzialmente continuare una volta fuori dal carcere e quindi costituire percorsi di reinserimento effettivi. Gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della Giustizia non si discostano in maniera significativa da quanto emerso dall’osservazione di Antigone. A giugno 2023 la percentuale di persone detenute lavoranti alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria era pari al 28,3%, mentre alle dipendenze di datori di lavoro esterni 4,9%. È bene tener presente che spesso il lavoro svolto in carcere non rappresenta solo una fonte di sostentamento per la persona detenuta, ma anche per le famiglie che stanno fuori. Circa i lavori cosiddetti interni, per la maggior parte si tratta di attività poco qualificanti (pulizie, lavanderia, ecc.) e non di lunga durata poiché soggette a rotazione. 

Per quanto concerne l’istruzione, l’art. 19 dell’Ordinamento Penitenziario (L. 26 luglio 1975, n. 354) stabilisce che i percorsi scolastici intramurari debbano avere, nei programmi e nei metodi di insegnamento, le stesse caratteristiche della scuola esterna e prevedere, almeno sulla carta, la possibilità per i detenuti-studenti di effettuare un percorso che parta dalla scuola primaria e arrivi fino all’università. L’organizzazione dei percorsi di scuola primaria e secondaria è deputata ai CPIA – Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti – sulla base di specifici accordi con le istituzioni scolastiche. I CPIA possono inoltre proporre un ampliamento dell’offerta formativa mediante accordi con le Regioni, gli Enti locali e con altre strutture formative accreditate dalle Regioni. I percorsi di istruzione di secondo livello sono volti al conseguimento del diploma di istruzione tecnica. Per quanto riguarda l’offerta formativa dei detenuti stranieri si prevede inoltre lo svolgimento di percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana finalizzati al conseguimento di una certificazione attestante il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 del quadro comune europeo.

Dai dati dell’Osservatorio di Antigone del 2023, la media di persone detenute iscritte a corsi scolastici nell’anno è pari al 28,4%, in linea con i dati registrati negli anni precedenti.

Oltre ai corsi di scolarizzazione, le persone detenute possono anche iscriversi ai corsi universitari. L’organizzazione dei corsi universitari in carcere è considerata una buona pratica italiana rispetto ad altri contesti internazionali, dove non è sempre garantita né prevista. Nelle città con università grandi o particolarmente attente al mondo penitenziario si sono sviluppati nel corso del tempo i Poli Universitari Penitenziari, organizzati in un coordinamento chiamato Conferenza Nazionale dei Poli Universitari Penitenziari (CNUPP) istituita presso la CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane). Attualmente la CNUPP conta 43 Università. Il bilancio del monitoraggio svolto dalla CNUPP sull’anno accademico 2021-2022 è il seguente: 1.246 studenti universitari iscritti (1.201 uomini e 45 donne), di cui 1.114 detenuti in 91 istituti penitenziari e 132 in esecuzione penale esterna. Fra gli studenti detenuti non mancano quelli in regime di alta sicurezza (449) e quelli sottoposti al regime previsto dall’art. 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario (33). Rispetto agli iscritti per aree disciplinari, la CNUPP riporta che nell’anno accademico 2021/2022 la maggior parte fosse iscritta a corsi di laurea dell’area politica sociale (27%) seguiti dall’area letteraria-artistica (18%), giuridica (16%), agro-alimentare (10%), psico-pedagogica (8%), storico-filosofica (8%), economica (7%), scienze, tecnologie, ingegneria, matematica (4%) e infine medico-sanitaria (2%).

Rachele Stroppa
Associazione Antigone

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(*) Antigone, associazione politico-culturale, a cui aderiscono prevalentemente magistrati, operatori penitenziari, studiosi, parlamentari e cittadini che a diverso titolo si interessano di giustizia penale. Antigone promuove elaborazioni e dibattiti sul modello di legalità penale e processuale del nostro Paese e sulla sua evoluzione; raccoglie e divulga informazioni sulla realtà carceraria; cura la predisposizione di proposte di legge; promuove campagne di informazione e di sensibilizzazione su temi o aspetti particolari, comunque attinenti all’innalzamento del modello di civiltà giuridica del nostro Paese, anche attraverso la pubblicazione del quadrimestrale Antigone. Dal 1998 Antigone è autorizzata dal Ministero della Giustizia a visitare i quasi 200 Istituti penitenziari italiani.

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