Certezza del diritto e pubblici dibattiti

I vari mezzi di informazione, nel rappresentare i diversi problemi che di continuo sollecitano e richiedono al giudizio del pubblico le ritenute soluzioni, evidenziano una singolare caratteristica della nostra società. L’analisi, in sostanza, postula un dibattito il cui svolgimento sempre più spesso si risolve non più con la pacata esposizione del proprio ragionamento, fondato sul sereno confronto con le altrui opinioni, quanto invece formulato con una scomposta e scalmanata sopraffazione della propria voce.

I toni ed i contenuti degli interventi poi sono permeati da insulti nei quali, più che un giudizio, meglio si ravvisa un evidente livore nei confronti del proprio contraddittore considerato addirittura come un nemico.

Il risultato che se ne ricava finisce per non consegnare al pubblico spazi di maggiore conoscenza o spunti di riflessione e migliore giudizio, ma una sostanziale confusione e disorientamento.

Un tale fenomeno evidenzia come si siano abbandonati i fondamentali principi dialettici e di saggezza che presupponevano, nell’accettazione del confronto, anche l’occasione di confrontarsi con idee diverse dalle proprie ed, eventualmente, anche condividerle.

Questo tipo di ragionamento, sempre più ricorrente nella odierna società, sembra essere la più eloquente espressione di una tendenza che mira ad esaltare ogni propria manifestazione di volontà attraverso una delirante e narcisistica affermazione del proprio io. Nessuno più sembra esser disposto a metter in discussione il proprio ragionamento e la propria volontà. Il suo mero contenuto finisce con l’essere considerato l’unico criterio di distinzione tra il bene ed il male, tra il lecito e l’illecito.

Un tale atteggiamento ancor più impensierisce quando si constata che anche il campo giuridico e quello politico non ne sono indenni. I due campi hanno in comune la necessità di dotare i propri pronunciamenti, a seguito di processi di riflessione e maturazione, della fondamentale coerenza con i propri precedenti interventi e, di conseguenza, della possibile logica comprensione da parte dei soggetti cui sono indirizzati. L’assenza di tali requisiti finisce per aumentare, come acutamente rilevò Francesco Carnelutti, la dissociazione tra il potere ed il dovere e, di conseguenza, la insubordinazione del dovere dinanzi al potere!

Il potere, infatti, proprio perché espressione di una cogenza di principi e di comportamenti, indirizzata alla società, non può considerare limitato il suo compito al solo suo pronunciamento, trascurando di esprimere con chiarezza e coerenza i propri fini, evitando contraddizioni con altre disposizioni che, in buona sostanza, oltre a turbare i delicati equilibri di un sistema democratico, si risolvono nella diffusa e pericolosa incomprensione del pubblico.

Se questi sono i principi fondamentali di una democrazia, crea stupore il constatare quanto ripetutamente essi siano trascurati ed, ancor peggio, violati. Un doloroso e triste esempio, su quanto detto, viene offerto da un gravissimo incidente stradale, verificatosi giorni addietro, nel quale hanno perso la vita due ragazze, investite da un’auto.

Nella ricostruzione del sinistro e nella individuazione delle sue possibili cause si è fatto più volte riferimento, da parte dei media, alla eventuale assunzione di droghe da parte dell’investitore. Tale circostanza, nella casistica delle ricostruzioni di casi del genere, è stata ritenuta talmente rilevante, in conformità alle disposizioni normative, da considerarla come aggravante della pena. Il mettersi alla guida, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, è stato considerato, dunque, elemento del tutto negativo da parte del legislatore che, come si è detto, ha ritenuto di prevedere, nei casi indicati, una sanzione più severa.

La presente riflessione non vuole lasciarsi coinvolgere in discussioni sull’accertamento e ricorrenza della responsabilità dell’incidente richiamato, ritenendo doveroso rispettare il corso delle indagini affidate alla competenza della magistratura e delle parti interessate.

Troppi processi, infatti, hanno abbandonato la loro sede giudiziaria per affidarsi a tribune diverse, caratterizzate purtroppo da quelle celebrazioni, cui si è fatto riferimento in precedenza.

L’incidente richiamato, con il riferimento all’assunzione di sostanze stupefacenti, offre l’occasione per precisare l’intento dell’attuale intervento diretto ad evidenziare come l’uso improprio della formazione delle leggi e la conseguente sua incoerente e contraddittoria interpretazione, ingeneri nella popolazione confusione e disorientamento.

Non si vuole pertanto, anche con riferimento a quanto detto, aggiungere altra voce al corposo dibattito da tempo esistente sui numerosi problemi collegati alla legittimazione della produzione e del consumo della droga, ma quello che in conclusione si vuole rilevare è la contraddittorietà frequente nel sistema normativo, che non si preoccupa di evitare che una norma, una volta licenziata, si ponga in netto contrasto con altre disposizioni facenti parte dello stesso corpo giuridico, determinando quindi quel nocivo e pericoloso stato di incertezza da parte dei cittadini di fronte alla legge che, in sostanza, tende a separare lo Stato dai suoi amministrati.

Luigi Ciampoli

Magistrato, docente di procedura penale Università di Urbino, già procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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