La riforma fiscale
e il fisco amico.
A che punto siamo


Come messo in evidenza nei precedenti interventi su questa Rivista, il tema di maggior interesse sotto il profilo politico della revisione del sistema tributario nazionale, che per semplificare la comunicazione, viene denominata Riforma, è rappresentato dalla evoluzione del rapporto tra amministrazione finanziaria e cittadino contribuente, ispirato al criterio della collaborazione nell’adempimento e non nel sospetto generalizzato di evasione da tale obbligo.

Anche recentemente il Vice Ministro Maurizio Leo ha più volte ribadito la centralità di tale obbiettivo, che dovrebbe essere realizzato – secondo le stesse indicazioni fornite dal Governo al momento della presentazione della legge di delega – attraverso una semplificazione delle normative, soprattutto quelle relative agli adempimenti, sia dichiarativi che di pagamento delle imposte, con l’utilizzo sempre più esteso degli strumenti informatici e una maggiore attenzione alla coerenza tra le discipline dei diversi tributi relativamente a fenomeni economici di analogo contenuto sostanziale. La revisione dovrebbe inoltre consentire una più attenta perequazione tra i diversi tipi di reddito soprattutto con riguardo ai redditi di lavoro, sia dipendente che autonomo, e di impresa che costituiscono il motore della nostra economia oltre che la fonte primaria delle entrate di natura fiscale. La sempre più estesa previsione di aliquote forfettarie per categorie di contribuenti e per limiti di reddito in un sistema ancora fondato sulla progressività delle aliquote dell’imposta personale, l’IRPEF, nonché la disciplina delle detrazioni e della deduzione di spese dal reddito imponibile, genera tuttavia un’ampia sperequazione tra contribuenti a parità di reddito lordo che dovrebbe essere superata secondo le linee guida della riforma.

Fin dalla prima attuazione della delega attribuita al Governo, si registra il positivo avvio nell’attuazione dei principi relativi alla semplificazione degli adempimenti che coinvolgono anche le procedure di accertamento con il rafforzamento delle procedure per la definizione “bonaria”. L’obbligo generalizzato di motivazione dell’atto di accertamento, il potenziamento degli istituti dell’adesione e dell’autotutela consentono di sviluppare proficuamente un confronto tra amministrazione finanziaria e contribuente, finalizzato al superamento del contrasto ed alla definizione della materia imponibile e dell’imposta da pagare, evitando le procedure contenziose giurisdizionali o favorendone anche l’anticipata chiusura. I dati più recenti sono molto confortanti e mostrano una propensione di uffici e contribuenti a trovare delle intese anche sacrificando in parte le rispettive ragioni. Negli ultimi tre anni – secondo i dati forniti dal MEF – è stato definito oltre il 25% delle liti con l’incasso per l’erario di oltre un miliardo di euro. Cifre ancora non molto significative in termini assoluti, ma che potranno ulteriormente aumentare nel corso di attuazione della nuova disciplina. Si è aggiunto in questi giorni anche l’intervento della Corte Europea dei diritti dell’uomo che, con la sentenza del 6 febbraio u.s. ha rilevato alcune illegittimità della normativa italiana concernenti le procedure di accesso presso le sedi delle imprese e in genere del domicilio del contribuente, che il Governo sta cercando di superare con il provvedimento legislativo sottoposto in questi giorni all’esame del Parlamento nel quale si introducono garanzie a beneficio del contribuente in relazione a tali procedure che, seppure per adesso in via parziale, rispondono alle esigenze di modifica della legislazione nazionale evidenziate dalla Corte Europea.

Al medesimo obbiettivo si deve ricondurre anche la revisione del sistema delle sanzioni amministrative nel quale sono state introdotte disposizioni che, nel rispetto delle linee evolutive tracciate in tema di proporzionalità delle sanzioni dalla giurisprudenza europea, ne attenuano l’entità sia in assoluto che in funzione della modalità di definizione della contestazione e della conseguente imposta da pagare, favorendo anche sotto questo profilo la definizione bonaria o lo spontaneo adempimento.

L’ampiezza delle innovazioni introdotte al sistema previgente hanno tuttavia indotto il legislatore a derogare alla previsione del cosiddetto favor rei per il quale, in caso di modifiche legislative più favorevoli per il contribuente, si applicano le nuove disposizioni anche per fatti o circostanze verificatisi anteriormente. Tale deroga ha formato oggetto di critiche e contestazioni per presupposta violazione del principio dettato dall’art. 24 della Costituzione. La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi su una vicenda in corso ha evidenziato che tale principio costituzionale non trovi necessaria applicazione anche ai sistemi sanzionatori amministrativi, ma solo per la sanzione penale, per cui è facoltà del legislatore, soprattutto in presenza di un’ampia revisione del sistema, di prevederne l’applicazione solo per fatti intervenuti successivamente alla sua entrata in vigore. Nonostante tale orientamento, la questione non può ritenersi chiusa ed anzi si può ragionevolmente prevedere che presto si avrà l’attivazione di un giudizio davanti alla Corte Costituzionale per conoscerne direttamente l’avviso. Il tema non è di poca rilevanza, atteso che l’attenuazione delle sanzioni introdotte dal nuovo sistema comporta benefici sostanziali per il contribuente e la sua applicazione anche ai casi pendenti potrebbe avere un impatto rilevante in termini di entrate per erario.

Con riguardo agli interventi finalizzati a rendere più efficienti l rapporti tra fisco e contribuenti, ci sembra che possano assumere un ruolo ed una rilevanza significativa l’introduzione del Concordato fiscale, per lavoratori autonomi e imprese di minori dimensioni, e il rafforzamento delle disposizioni relative all’adempimento collaborativo, già introdotto con i provvedimenti legislativi del 2015 per le imprese maggiori.

Con il Concordato fiscale si definisce in anticipo, su proposta dell’amministrazione finanziaria, il reddito imponibile per un arco temporale biennale con l’applicazione di un’aliquota proporzionale molto ridotta sull’incremento di reddito rispetto al livello del periodo precedente. La validità e la durata dell’accordo è condizionata al permanere di alcune condizioni che sono state tenute presenti nella definizione del reddito e l’eventuale modificazione può comportare il venir meno della sua validità od efficacia. Tali condizioni e le conseguenze connesse alla loro modificazione ha costituito in questa prima fase di attuazione una remora per alcuni contribuenti ad aderire alla proposta, per cui i risultati ottenuti non sono stati del tutto coerenti con le aspettative dell’amministrazione. Tale istituto rappresenta comunque uno strumento positivo per ridurre il contrasto tra fisco e contribuente e consentire di pervenire alla congrua determinazione del carico fiscale dei redditi delle categorie interessate, con il beneficio della riduzione dei tempi per l’accertamento in rettifica e la riscossione delle somme dovute. In tale quadro il Governo è intervenuto nel decreto legislativo correttivo, che è all’esame delle Commissioni Parlamentari e che dovrebbe almeno in parte superare le criticità rilevate.

Per le imprese di maggiori dimensioni è invece previsto il meccanismo dell’adempimento collaborativo tra contribuente e amministrazione, che tende a favorire il preventivo esame delle questioni che presentano potenziali incertezze nella definizione del corretto trattamento fiscale di situazioni che si presentano nella gestione operativa dell’azienda o in operazioni straordinarie. Tale interlocuzione, che consente anche di attivare procedure formali di interpello con tempi ridotti rispetto alla procedura ordinaria, è anch’esso finalizzato ad eliminare o almeno ridurre l’area di contrasto tra fisco e contribuente ed in ogni caso a consentire anche nelle fasi successive ad un eventuale accertamento in rettifica che si dovesse verificare un’attenuazione degli oneri per la definizione bonaria delle rettifiche stesse e pervenire alla determinazione del congruo carico fiscale per l’impresa. Tale istituto fu introdotto, come accennato in precedenza, nel 2015 e con la Riforma è stato ulteriormente valorizzato anche con la previsione della progressiva estensione ad un maggior numero di imprese. La sua efficace attuazione richiede tuttavia un impegno di ambedue le parti: per l’impresa che deve dotarsi di un sistema di monitoraggio del rischio fiscale idoneo a rilevare tempestivamente le situazioni di potenziale criticità, il cd Tax Control Framework, e per l’amministrazione finanziaria la formazione di risorse adeguate, sia per numero che per competenza professionale, per consentire il tempestivo e proficuo confronto con l’impresa per la risoluzione delle questioni che si pongono prima che il contribuente sia chiamato ad eseguire i relativi adempimenti per l’applicazione dei tributi.

Da tali strumenti, come detto, ci si aspetta un miglioramento del gettito per lo spontaneo adempimento da parte del contribuente e la definizione non contenziosa della congrua imposizione con evidenti benefici per i flussi del gettito tributario e pertanto dell’equilibrio del bilancio pubblico.

Il problema dell’acquisizione delle risorse derivanti dall’applicazione dei tributi è il vero punctum dolens del nostro sistema tributario. Si è certamente migliorato il grado di chiarezza delle disposizioni, semplificata la loro applicazione, progredito nella verifica della coerenza delle disposizioni normative e della relativa concreta applicazione con la sostanza del presupposto economico dei tributi, ma purtroppo si mantiene un gap troppo elevato tra il dovuto e l’incassato, con effetti che incidono sulla capacità del Governo, di qualsiasi Governo, di adottare provvedimenti perequativi e di attenuazione delle aliquote per le imposte personali anche delle società, il cui onere incide in modo significativo sull’equilibrio della finanza pubblica. È di questi giorni l’analisi svolta in Parlamento sul fenomeno della riscossione e, senza voler entrare in dettagli, basti considerare solo alcuni dati: il valore totale dei crediti fiscali ammonta ad oltre 1.200 miliardi di euro di cui oltre 500 miliardi ormai non più esigibili ed il resto acquisibili con gravi difficoltà. Solo il 9,6% risulta essere incassato sul totale dei ruoli emessi.

I provvedimenti relativi alla riscossione previsti dalla delega sono ancora in fase di definizione ed è auspicabile che affrontino il tema con strumenti altrettanto efficaci rispetto a quelli che sono stati introdotti per favorire la definizione delle imposte dovute. Mi corre tuttavia l’obbligo di segnalare che talvolta questi provvedimenti, se non sono accompagnati da una revisione dell’organizzazione dell’amministrazione e delle risorse di cui si dispone per contrastare il fenomeno, finiscono per colpire più il ritardo veniale ed occasionale che quello sistematico, comportamento che alcuni contribuenti adottano come strumento per una strisciante e quasi impercettibile evasione dall’obbligo tributario. A che vale per l’amministrazione definire un’imposta dovuta, con impegno di risorse amministrative e organismi giurisdizionali, se poi questa non viene acquisita dall’erario?

Avviandoci alle conclusioni, ritengo si possa dire con ragionevole valutazione che i provvedimenti finora adottati sono coerenti con la strada tracciata nella delega, per quanto concerne in particolare l’obbiettivo sopra ricordato del c.d. “fisco amico” anche se è ancora lungo il tragitto per arrivare alla meta.

Per poter realizzare un sistema tributario che soddisfi anche le esigenze di equità nella distribuzione del carico tributario tra cittadini, imprese, presupposti economici e patrimoni, occorre anche pervenire a definire il quadro della progressività delle aliquote dell’imposta personale delle persone fisiche da cui deriva circa il 45% del gettito totale delle imposte e rivedere in modo non punitivo per i redditi medi il sistema delle deduzioni e detrazioni. Su questo tema occorre anche che si definisca con maggiore coerenza con la realtà economica del Paese, tenendo contro del contesto europeo nel quale viviamo e con cui ci confrontiamo, il livello di reddito da definire “minore”, “medio” ed “alto”, perché è generalizzato il giudizio che i limiti degli attuali scaglioni schiaccino verso l’alto l’imposizione su redditi, che appena superano il livello di sopravvivenza. In tale quadro deve altresì tenersi conto dell’effetto sperequativo delle aliquote proporzionali che si applicano all’interno di categorie di reddito soggette all’imposta proporzionale con differenze che possono essere considerate non ragionevoli, anche sotto il profilo della perequazione in relazione alla capacità contributiva cui il sistema deve ispirarsi secondo gli artt. 3 e 53 della nostra Costituzione. La riduzione da 4 a 3 degli scaglioni di reddito con l’adeguamento delle rispettive aliquote entrata in vigore nel 2024 non pare sufficiente a superare tali inefficienze del sistema.

L’IRPEF sui redditi di lavoro risente anche del fenomeno del fiscal drag, cioè della differenza che si registra tra redditi nominali e reali a causa dell’inflazione che seppure limitata in questi anni oggi comincia a pesare sul potere di acquisto. Non siamo più fortunatamente in tempi di inflazione a due cifre e quindi non si parla di reintrodurre un meccanismo di fiscal drag come quello introdotto negli anni ’80 ed ormai da tempo non più in vigore, ma, come già previsto negli stessi principi della delega, occorre una periodica revisione dei limiti di reddito fissati in termini assoluti sia per la determinazione degli scaglioni che per l’accesso a tassazione proporzionale sostitutiva o a detrazioni d’imposta e deduzioni di spese dal reddito, che tengano conto del mutato rapporto tra capacità d’acquisto e reddito nominale. In tal senso qualche ulteriore stimolo alla riflessione è fornito dai dati ISTAT sulle risultanze della finanza pubblica del 2024, che hanno registrato un aumento del gettito delle imposte che si colloca mediamente intorno al 6,5% e che determina un aumento della pressione fiscale, pari alla percentuale delle imposte sul prodotto nazionale, 46,2 versus 41,7 del 2023. Invero tale definizione potrebbe non rappresentare correttamente la situazione se la si valuta con riferimento al carico tributario nominale di competenza delle diverse imposte che non è aumentato e non ai flussi di gettito acquisito nell’anno dal bilancio dello Stato, che è invece il dato considerato. Tale aumento del gettito, almeno per la parte imputabile all’IRPEF, deriva da maggiori redditi di lavoro che sono conseguenza anche di aumenti delle retribuzioni di categorie di dipendenti, che costituiscono per larga parte solo un incremento di reddito nominale e non reale per recuperare il minore potere di acquisto, a conferma di quanto appena considerato in merito alla necessità di revisione delle curve delle aliquote IRPEF.

Non può infine omettersi di considerare che la realizzazione di tali obbiettivi si pone in un contesto economico in cui si è costretti ad una politica di contenimento del deficit di bilancio dello Stato, che non può rinunciare ad entrate tributarie che ne finanziano la spesa. E sotto questo profilo il richiamo all’efficienza della riscossione diventa forse l’elemento più significativo, oltre che al recupero dell’evasione su cui peraltro si sono fatti significativi progressi, per poter fare importanti passi avanti nella completa attuazione degli obbiettivi della Riforma.

Luciano Acciari

partner Studio Gianni & Origoni - GOP, già responsabile dipartimento Tax dal 2008 al 2019

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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