Dalla legge elettorale alla forma di governo, passando attraverso le tante ipotesi in campo, che esigono pesi e contrappesi necessari al corretto funzionamento delle istituzioni. La partita delle riforme sarà, o dovrebbe essere, centrale nella legislatura che sta per aprirsi. Riforme che vanno condivise, perché le regole del gioco valgono per tutti e, come l’esperienza insegna, sono sostanzialmente inefficaci quando vengono approvate dalla maggioranza del momento, qualunque essa sia. Riforme che devono essere organiche, perché quelle a pezzi degli ultimi anni sono inutili e dannose, come nel caso della riduzione del numero di senatori e deputati non accompagnata dalla revisione dei regolamenti parlamentari e da una divisione di funzioni tra Senato e Camera.
Dal 1994, anno delle elezioni che sanciscono il passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica, il nostro sistema politico sopravvive per adattamenti trasformistici successivi. E così oggi, ad esempio ci lamentiamo di essere di fronte ad un monocameralismo di fatto, con una Camera che esamina e vota e l’altra che si limita a ratificare.
Un tentativo reale di riforma organica è quello elaborato nel 2014 dal governo Renzi sulla base del lavoro della Commissione dei saggi voluta dal Capo dello Stato Napolitano. Riforma bocciata con il referendum del dicembre 2016, soprattutto a causa delle tante personalizzazioni (non solo quella ascritta all’allora Presidente del Consiglio) di quella consultazione.
Molti anni (e una Repubblica) prima, un’altra occasione persa sul fronte delle riforme è il Messaggio alle Camere inviato dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Siamo nel giugno 1991, quel Settennato è agli sgoccioli, i rapporti tra il Picconatore e il Parlamento sono ormai deteriorati.
Quel Messaggio arriva dunque forse troppo tardi e cade nel vuoto.
A questo importante passaggio ho dedicato un capitolo del mio libro “Tre minuti trentuno secondi. Francesco Cossiga: i silenzi e il clamore”, pubblicato nel 2020 a 10 anni dalla morte di quella che è stata una figura politica unica, per le cariche che ha ricoperto, tutte le più importanti, e per come le ha ricoperte. Il più giovane ministro dell’Interno, il più giovane Presidente del Consiglio, il più giovane Presidente del Senato, il più giovane Presidente della Repubblica. Un uomo di vastissima cultura, capace al tempo stesso di altissimi confronti e di polemiche molto ruvide con personalità di Stato così come con personaggi dello spettacolo.
In quel Messaggio alle Camere, Cossiga in qualche modo sembra interpretare Aldo Moro. Lo farà, questa è la tesi del mio libro, in diversi altri momenti e situazioni (non solo dopo la caduta del Muro di Berlino, quando sono iniziate le Picconate, marchio di fabbrica della sua Presidenza). Cossiga, anche in politica estera, dice le cose che avrebbe detto Moro se fosse uscito vivo dalla prigione delle Brigate Rosse. Un tributo dunque al suo Maestro, un modo di restituirgli la vita che da ministro dell’Interno non era stato in grado di salvare in quei drammatici 55 giorni del 1978.
Moro dal covo Br scrive a proposito della Dc, ma con riflessioni che in realtà valgono per tutti: “Un partito che non si rinnovi con le cose che cambiano… viene prima o poi travolto dagli avvenimenti, tagliato fuori dal ritmo veloce delle cose che non ha saputo capire ed alle quali non ha saputo corrispondere”.
Cossiga rilancia il senso di queste parole.
Nel suo Messaggio alle Camere ripercorre le profonde trasformazioni sociali ed economiche dal dopoguerra, trasformazioni che richiedevano una complessiva revisione dell’assetto istituzionale. Propone un elenco delle principali questioni da affrontare: forma di governo e sistema elettorale, ruolo delle autonomie, ordine giudiziario, nuovi diritti di cittadinanza. Parla di referendum anche propositivi, di elezione diretta del Capo dello Stato, di sistema uninominale. C’è un passaggio ancora molto attuale sull’uso paradossale del decreto legge, diventato “lo strumento ordinario della normazione nel nostro paese”.
Il Capo dello Stato afferma la necessità di rispettare i principi emersi nel referendum riguardante la preferenza unica del 9 giugno precedente, che aveva registrato oltre il 95% di voti favorevoli; e che diventa la chiave di volta per l’introduzione di un sistema sostanzialmente maggioritario, il Mattarellum.
La sostanza del messaggio di Cossiga era la necessità di un governo che governi. L’idea culturale di fondo era il superamento della democrazia bloccata che caratterizzava il sistema istituzionale e che assegnava di fatto alla Dc il compito di governare e al Pci il monopolio dell’opposizione. Nella sostanza, appunto, il disegno di Moro.
La Dc non si rende conto che le riforme possono servire ad affrontare e forse chissà schivare la crisi che sta per esplodere con Tangentopoli. Il Pci, nel processo di trasformazione in Partito democratico della sinistra, non coglie l’occasione di accreditarsi come possibile vera forza di governo, preso com’è in quella fase dalla richiesta di impeachment nei confronti di Cossiga
Quella che si apre dal 26 settembre è naturalmente una pagina per tanti versi nuova. Ma un errore del passato, lontano e recente, va evitato: far credere che le riforme sono qualcosa di distante dagli interessi concreti degli italiani. La politica sa o dovrebbe sapere che solo la vera e organica manutenzione delle istituzioni evita spese inutili ed ha quindi un concreto valore economico. Anche se spesso è un processo lento e sottotraccia, non sposta i sondaggi e non porta voti.