Immettere liquidità sui mercati e liberare disponibilità finanziarie. Noti passaggi chiave per stimolare investimenti e consumi. Mario Draghi, muovendo dai precedenti delle banche centrali di Stati Uniti, Inghilterra e Giappone, nel 2012 lanciava per la BCE il quantitative easing quale strumento di politica economica espansiva, teso ad agevolare i prestiti bancari ad imprese e famiglie. Un’iniziativa diffusa e condivisa per spingere investimenti, domanda di beni e servizi, crescita economica e aumento dell’inflazione che, nel misurare l’aumento dei prezzi /costo della vita, costituisce un indice, non l’unico, di incremento della domanda e di sviluppo economico.
Ma questi strumenti non sono ovviamente i soli, utili e opportuni, per favorire la ripresa economica. Se è valido, com’è valido, il concetto che più liquidità sui mercati, più moneta in circolazione dovrebbero favorire la crescita, c’è da chiedersi se questo governo, attraverso le misure previste nella legge di bilancio, stia realmente procedendo nella giusta direzione per raggiungere gli obiettivi di espansione che si pone.
In particolare, il governo si appresta a varare una serie di provvedimenti, quale mix di interventi di contrasto all’evasione fiscale e al riciclaggio di denaro, che meritano attenta analisi, considerando che si prefigge così di recuperare 7 miliardi di euro.
Soffermiamoci sull’abbattimento della soglia dei pagamenti consentiti a mezzo contante, che passerebbe dal 1 luglio 2020 (il condizionale è d’obbligo non essendo definitivo il testo del D.E.F.) dai 3.000 ai 2.000 e poi ai 1.000 euro a transazione, intervenendo, quindi, sul D.Lgs. n. 231/2007, come modificato dal D.Lgs. n. 90/2017.
A parte la levata di scudi di associazioni di categoria come la Confcommercio, o il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, critici verso la riduzione della soglia, detto intervento non sembra assolutamente condivisibile, in quanto di certo strozza il mercato e la domanda, soprattutto di beni e servizi di valore contenuto, con impatto negativo sull’economia reale. Se il nostro è un Paese dove c’è un’alta circolazione di contante, peraltro con una significativa percentuale di anziani sulla popolazione attiva, che mal sopporta l’uso della moneta elettronica, il rischio della modernizzazione, se così si può dire, è proprio quello di vedere compromessa la domanda e creare un circuito tutt’altro che virtuoso a danno dell’economia.
Oggi le nuove generazioni sono sempre più use all’utilizzo di bancomat, carte di credito, o a transazioni tramite app sullo smartphone. Lasciamo, quindi, perdere misure draconiane di spinta all’abbandono del contante per la moneta elettronica con tutti i riflessi negativi che ciò comporta. Sarà il tempo che determinerà, gradualmente, un naturale aumento delle transazioni regolate con moneta elettronica, piuttosto che in contanti.
La vera lotta all’evasione non si fa colpendo l’uso del contante, che alimenta il piccolo commercio, ma attaccando i conglomerati industriali internazionali, che pongono le sedi in paesi con fiscalità di vantaggio. Ad esempio, perché FIAT e MEDIASET hanno trasferito le rispettive sedi legali in Olanda? E perché ha fatto lo stesso Cementir Holding S.p.A., mentre ENI, ENEL, Ferrero, Telecom Italia ed altri hanno comunque società consociate che operano in Olanda? Ovviamente per mera convenienza fiscale. Basti sottolineare i numerosi accordi fiscali che l’Olanda ha siglato con diversi paesi, al fine di limitare la ritenuta di acconto su dividendi e interessi. Invece di fare esercizi empirici sulla misura del sommerso, dell’evasione fiscale, contributiva, ecc., perché non si calcola l’incremento del gettito fiscale per l’Italia, se queste società fossero rimaste tutte nel nostro Paese?
La risposta la dà un lavoro congiunto dei ricercatori dell’Università di Copenaghen e dell’Università di Berkeley (California). La ricerca, presentata il 9 settembre 2019 al Fondo Monetario Internazionale, fissa in 25 miliardi di dollari lo spostamento di ricchezza da parte di società italiane verso paradisi fiscali, con una perdita di gettito per le casse dello Stato Italiano di 8 miliardi di dollari. I paesi che maggiormente beneficiano di queste perdite fiscali italiane sono proprio Olanda, Lussemburgo e Irlanda, che acquisiscono vantaggi di entrate per quasi 6 miliardi di dollari.
Prima di colpire i “piccoli”, sarebbe, quindi, opportuno raggiungere una seria armonizzazione fiscale degli Stati aderenti all’Unione Europea, così da evitare perdite di entrate tributarie, a discapito di quei paesi, come l’Italia, dove la pressione fiscale è particolarmente elevata. Inoltre, sempre per dare un significato concreto e serio alla lotta all’evasione fiscale, perché non alzare il livello di attenzione nei confronti dei colossi del web? Amazon, ad esempio, dopo un accordo con l’Agenzia delle Entrate, ha versato al fisco italiano 100 milioni di euro. Ugualmente Apple, che ha pagato al fisco italiano 318 milioni di euro. Google, a mezzo di accertamento con adesione, ha sborsato al fisco italiano 306 milioni di euro, mentre Facebook, attraverso la sua filiale italiana, ha pattuito con l’Agenzia delle Entrate un versamento di oltre 100 milioni di euro.
Sono sufficienti questi dati, per lanciare un segnale al governo?
Ed inoltre, vengono studiati e stimati gli scambi commerciali con le relative contropartite in criptovalute? Vogliamo soffermarci su bitcoin, ethereum, litecoin, iota, ripple, neo, ecc.? Il tema “criptovaluta” non è solo di interesse per l’antiriciclaggio. I beni oggetto di compravendita non sono “criptobeni”, ma effettivi, reali e le regolamentazioni finanziarie degli scambi a mezzo criptovalute non lasciano traccia, in quanto transazioni del tutto incontrollate e, quindi, fuori da qualsivoglia prelievo fiscale. A quanto ammonterebbe l’evasione in questi casi? Chi lo sa, ma il governo è occupato a ridurre l’uso del contante a 1.000 euro!
La lotta sfrenata all’uso del contante è demagogia e populismo con un accanimento mediatico imbarazzante, come se fosse la panacea per sconfiggere l’evasione fiscale. Si palesa solo la mancanza di volontà di contrastare la vera evasione fiscale e questo perché si andrebbero a toccare gli interessi forti di gruppi industriali e multinazionali.
Spingere con determinatezza per un’armonizzazione fiscale dei paesi UE sarebbe la via maestra, ma non c’è traccia del tema, neanche uno spunto di riflessione, fra le argomentazioni che accompagnano la formazione della legge di bilancio. Manca la volontà del governo di una proposta in tal senso e questo chiaramente per non commettere uno “sgarbo” nei confronti di quell’Unione Europea, che sembra mostrarsi tanto disponibile verso chi ha salvato l’Italia (forse anche l’Europa) dai sovranisti con tutto quanto ne consegue.